Ecco cosa si nasconde dietro il desiderio di voler leggere sempre lo stesso libro secondo gli studi di psicologia.
Rileggere sempre lo stesso libro non è una semplice abitudine, né un vezzo nostalgico. È un gesto che cela una dinamica psicologica complessa, capace di rivelare lati profondi della nostra interiorità. In un’epoca dominata dalla sovrabbondanza di contenuti, scegliere di tornare ancora e ancora alle stesse parole è quasi un atto sovversivo, un’espressione di bisogno emotivo, di ricerca identitaria, o perfino di trasformazione personale. Ecco qui invece cosa dice la psicologia su chi guarda sempre lo stesso film.
La psicologia contemporanea ci offre diversi spunti per comprendere questo fenomeno. Tra questi spicca lo studio della professoressa Lisa Libby, che ha analizzato l’impatto delle narrazioni sulla psiche. Secondo la sua ricerca, quando ci identifichiamo profondamente con i personaggi e le vicende di un libro, l’esperienza narrativa può diventare quasi reale. La lettura non è più intrattenimento, ma un processo che modella comportamenti, emozioni e credenze. In questi casi, rileggere diventa una forma di rielaborazione psicologica, quasi una terapia sottile e privata.
Il libro come specchio interiore: identità e ripetizione
Ogni lettura è un incontro, e ogni rilettura è un ritorno, ma a volte è anche una riscoperta di sé. Il libro che scegliamo di rileggere ossessivamente non è mai un titolo casuale. Spesso contiene temi, atmosfere o personaggi che toccano corde profonde della nostra psiche. In questo senso, il libro diventa un specchio interiore, un territorio familiare in cui sentirsi compresi senza bisogno di spiegarsi.

Questo è particolarmente vero nei momenti di transizione o crisi: cambiamenti di lavoro, fine di relazioni, lutti, scelte esistenziali. In questi frangenti, tornare alle stesse pagine può avere una funzione consolatoria, ma anche rigenerativa. Il testo offre una struttura conosciuta, una narrativa già assimilata che ci protegge dal caos del reale. A ogni rilettura, quel racconto assume sfumature nuove, rivelando ciò che prima non vedevamo. È come se crescessimo insieme al libro, e il libro crescesse con noi.
Un rito personale, un tempo sospeso: cosa si nasconde dietro il nostro libro preferito
Dal punto di vista cognitivo, la rilettura offre anche un ambiente a bassa entropia: sappiamo già cosa accadrà, non c'è incertezza. Questo riduce lo stress e attiva un senso di controllo, elemento particolarmente importante in soggetti ansiosi o ipersensibili. Ma non è solo questione di sicurezza. Alcuni lettori riferiscono che rileggere il proprio libro del cuore genera uno stato di “flow emotivo”, simile alla meditazione. È come entrare in un tempo sospeso, dove l’io si dissolve nelle parole.
In questo senso, rileggere è un rito personale, una pratica quasi spirituale. E anche quando si tratta di narrativa semplice o infantile, il bisogno che muove il gesto è autentico. Per i bambini, ad esempio, è uno strumento per consolidare la realtà, per elaborare emozioni e strutturare il pensiero simbolico. Per gli adulti, può rappresentare una connessione con la memoria, con un passato rassicurante, o con un’immagine ideale di sé.