Su Rai Play è disponibile un film che riuscirà a toccare le corde dell'anima di tantissime persone. La trama parla all'inconscio e sviluppa interrogativi riflessivi e molteplici punti di vista.
Non tutti i film riescono a entrare nella mente e, ancora più in profondità, nell’inconscio. Io Capitano, il capolavoro di Matteo Garrone disponibile su Rai Play e candidato all’Oscar, è uno di quei rari titoli capaci di oltrepassare la soglia dell’intrattenimento. È un’opera che scuote, coinvolge, rispecchia e rivela. Un’esperienza cinematografica che diventa personale, viscerale, emotiva. Chi guarda questo film non può semplicemente assistere: ne è travolto, dentro.
Al centro della narrazione c’è Seydou, un ragazzo senegalese adolescente che, spinto dal sogno di una vita migliore, intraprende un viaggio estenuante dall’Africa all’Europa. Non un road movie, non un film politico. È un’odissea interiore, psicologica, simbolica. Il viaggio diventa metafora della crescita, del trauma, del desiderio e della paura. La trama di questo film tocca le persone in modo particolare e intenso. Un racconto che invita il pubblico alla sana e profonda riflessione. Lo spettatore è invitato a vivere ogni tappa insieme a lui, condividendo il dolore, l’incertezza, la speranza.
Io Capitano, perché questo film ci coinvolge così profondamente?
La macchina da presa di Garrone segue Seydou con empatia chirurgica: non lo giudica, non lo idealizza, lo accompagna. E proprio questo sguardo privo di retorica permette a chi guarda di attivare un processo emotivo di identificazione che scavalca razza, età, origine. La psicologia lo conferma: l’inconscio non distingue tra realtà e finzione. Se qualcosa appare autentico, emotivamente vero, il cervello lo registra come esperienza reale. Io Capitano sfrutta questo principio in modo straordinario, immergendo lo spettatore in un’esperienza sensoriale e psicologica totalizzante. Il protagonista è giovane, ingenuo, determinato. In lui possiamo rivedere noi stessi, i nostri sogni, le nostre paure. Inoltre, ogni passaggio, ogni frontiera, ogni ostacolo del film ha un significato simbolico. Il deserto come luogo di morte e rinascita. Il mare come limbo psichico, dove l’identità viene messa alla prova. L’Europa come miraggio, che spesso delude, ma che continua ad attrarre.

Una delle scelte più affascinanti di Io Capitano è la sua capacità di comunicare senza parole. Le emozioni emergono dagli sguardi, dai silenzi, dai gesti. Il non detto assume un peso specifico enorme. È lì che si annida la forza del film: in ciò che lo spettatore sente ma non viene esplicitato. Viviamo in un’epoca in cui la migrazione è al centro del dibattito pubblico, ma spesso affrontata in modo superficiale o ideologico. Io Capitano compie un gesto rivoluzionario: restituisce umanità al migrante. Non è un numero, non è un problema, è un ragazzo, un figlio, un giovane con la voglia di futuro. Rai Play ha avuto il merito di rendere accessibile un’opera così intensa a un pubblico vasto. È un’occasione per fare i conti con se stessi, per lasciarsi attraversare da una storia che parla al cuore e alla mente.
I traumi psicologici del viaggio migratorio: tra PTSD e Sindrome di Ulisse
Diversi studi hanno rilevato un'elevata incidenza di disturbo post-traumatico da stress (PTSD) tra i migranti, in particolare tra coloro che ottengono lo status di rifugiato. In alcuni casi, la percentuale può arrivare fino al 47%. Questa condizione è spesso legata alle esperienze traumatiche vissute durante il percorso migratorio, come aggressioni, torture o situazioni di estrema precarietà. Tali vissuti sono ben rappresentati nel viaggio di Seydou e Moussa, protagonisti del film, che affrontano violenza, pericoli e disperazione nella loro rotta verso l’Europa. Un altro aspetto rilevante è la cosiddetta Sindrome di Ulisse, un disturbo legato allo stress cronico e complesso che colpisce molti migranti. Questa sindrome comprende manifestazioni come ansia, depressione, insonnia e sintomi psicosomatici, spesso legati alla lontananza dalla famiglia, all’isolamento culturale e linguistico, e alla precarietà economica. Anche in questo caso, il film riflette bene questi vissuti: i protagonisti, nel loro lungo viaggio, si confrontano con la perdita delle proprie radici e con un continuo stato di allerta e sofferenza emotiva.