Se il tuo cervello pensa sempre al peggio, c’è una spiegazione psicologica che non ti aspetti

Ti capita spesso di immaginare gli scenari peggiori anche quando non ci sono motivi concreti per farlo?

Questa tendenza ha una base scientifica e psicologica precisa. Il nostro cervello è programmato per dare più peso ai pensieri negativi rispetto a quelli positivi, e questa inclinazione può influenzare profondamente la nostra serenità. Il pensiero negativo non è un caso, ma una strategia evolutiva. Il bias negativo è il fenomeno per cui tendiamo a ricordare e dare più importanza agli eventi spiacevoli rispetto a quelli positivi. Questo meccanismo aveva un senso in passato, quando i nostri antenati dovevano essere costantemente all’erta per evitare pericoli mortali. Oggi, però, questa ipersensibilità al negativo può portarci a livelli eccessivi di ansia e stress. Uno studio condotto da Graham Davey, professore emerito all’Università del Sussex, ha evidenziato che l’esposizione costante a notizie negative aumenta i livelli di ansia e può portare a una percezione distorta della realtà. In altre parole, più ci concentriamo sugli aspetti negativi, più il nostro cervello li considera prioritari, innescando un ciclo difficile da interrompere.

Un altro fattore chiave è la catastrofizzazione, cioè la tendenza a immaginare il peggio anche in situazioni comuni. Barnabas Ohst, terapeuta tedesco, ha dimostrato che chi catastrofizza le proprie sensazioni fisiche è più incline ad avere attacchi di panico. Questo perché il cervello percepisce il pericolo anche quando non c’è, amplificando le emozioni negative.

Pensiero negativo e declino cognitivo

Non solo il pensiero negativo influenza il nostro umore, ma può avere effetti anche sul cervello a lungo termine. Dr. Natalie Marchant, dell’Università di Londra, ha scoperto che il pensiero negativo ripetitivo è legato a un declino cognitivo più rapido e può essere un fattore di rischio per malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. Questo accade perché i pensieri negativi cronici aumentano i livelli di stress e infiammazione, danneggiando nel tempo le funzioni cerebrali. Secondo Aaron T. Beck, fondatore della terapia cognitivo-comportamentale, la negatività cognitiva è alla base della depressione. I pensieri negativi ripetuti creano un circolo vizioso che abbassa l’umore e influisce sulla percezione della realtà. Questo spiega perché chi soffre di depressione tende a vedere il mondo in modo più pessimista, alimentando ulteriormente il proprio stato emotivo negativo.

Come ridurre l’impatto del pensiero negativo

Anche se il nostro cervello è predisposto a concentrarsi sul negativo, esistono strategie per riequilibrare questa tendenza. Michelle Moulds e Peter McEvoy, esperti di psicologia clinica, hanno studiato la ruminazione negativa, ossia il ripetersi ossessivo di pensieri negativi. Le loro ricerche dimostrano che pratiche come la consapevolezza e la terapia cognitivo-comportamentale possono aiutare a spezzare questo schema, portando a un maggiore benessere psicologico. Un passo fondamentale è riconoscere il fenomeno e cercare di bilanciare il nostro modo di pensare. Quando emergono pensieri negativi, può essere utile fermarsi e analizzarli con occhio critico: sono davvero reali o sono solo supposizioni? Questa semplice pratica può aiutare a ridurre l’impatto della negatività cognitiva.

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I pensieri negativi portano alla ruminazione negativa, un circolo vizioso da cui è difficile uscire.

Il nostro cervello tende a pensare al peggio per proteggerci, ma questa inclinazione può diventare un ostacolo alla serenità. Conoscere i meccanismi alla base di questo fenomeno ci permette di affrontarlo con maggiore consapevolezza e di migliorare la nostra qualità di vita.

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