Psicologia del guardaroba: perché conservi vestiti che non metti più?

Perché molte persone adorano conservare i vestiti, anche quando non li indossano più? La spiegazione approfondisce e fa luce su molti aspetti curiosi e interessanti da scoprire.

Apri l’armadio e lo spazio scarseggia. Gli abiti si accalcano, le mensole cedono sotto il peso di maglioni e jeans di vecchie collezioni. Eppure, ogni volta che fai shopping, torni a casa con qualcosa di nuovo. Ma quando arriva il momento di fare decluttering, il cuore si stringe. Nonostante un armadio pieno di abiti e la scelta che ricade ogni giorno sulle stesse cose, è per molti molto doloroso doversi liberare di camicie e pantaloni. Gli abiti non sono solo capi da indossare. Raccontano chi siamo stati, chi volevamo essere o chi speriamo di diventare. Un vestito può essere legato a un ricordo felice, a un periodo della vita, a una versione di noi stessi che non vogliamo lasciar andare.

Il cervello associa gli oggetti alle emozioni. Quando indossi un vestito per un’occasione speciale, quell’evento resta impresso. Eliminare quell’abito potrebbe sembrare un tradimento verso il passato. Quante volte ci capita di acquistare un capo per un’occasione speciale e ricordare, ogni volta che lo indossiamo, momenti e sensazioni provate quella sera? Questo è perché i nostri vestiti rappresentano molto di ciò che siamo e di come vogliamo apparire. Sono ad ogni modo molteplici i pensieri che rimbalzano nella mente di una persona. Quest’ultima non riesce proprio a liberarsene, ecco perché.

Per quale motivo non riusciamo a liberarci di abiti che non mettiamo più?

Uno dei pensieri più comuni è: “Magari un giorno mi servirà“. Un paio di jeans che non entrano più, una giacca fuori moda o un vestito da cerimonia acquistato anni fa. Anche se non lo usiamo da tempo, l’idea di sbarazzarcene ci mette a disagio. Si chiama “avversione alla perdita”. Lasciare andare qualcosa è percepito come una rinuncia, anche se quel qualcosa non ha più valore nella nostra vita. Spesso pensiamo: “L’ho pagato tanto, non posso buttarlo”. Il denaro speso ci lega agli oggetti, anche se non li usiamo più. Molte volte il sacrificio fatto per acquistare quel capo, resta impresso nelle nostra mente. Preferiamo senza alcun dubbio tenere un abito nell’armadio piuttosto che ammettere che è stata una spesa inutile. Alcune persone amano accumulare vestiti come se fossero cimeli. La collezione di scarpe, i cappotti di ogni colore, gli abiti ancora con il cartellino. Il problema non è il bisogno di avere vestiti, ma il senso di vuoto che si proverebbe senza di essi. L’accumulo è spesso legato alla paura di perdere il controllo. Un armadio pieno dà un senso di sicurezza, anche se molti capi rimangono inutilizzati.

Perché non riusciamo a liberarci dei vestiti
Perché non riusciamo a liberarci dei vestiti

Il fatto di poter aprire il guardaroba e trovare abiti comprati anni fa, è per molti una vera e propria consolazione personale. Ma come fare per provare a liberarsi dei vestiti che non si indossano più, senza troppi sensi di colpa? Se l’idea di eliminare vestiti ti crea ansia, esistono strategie per rendere il processo più facile. Il metodo delle domande: Quando prendi in mano un capo, chiediti: “Se lo vedessi oggi in un negozio, lo comprerei di nuovo?” Se la risposta è no, è tempo di lasciarlo andare. L’effetto “regalo”: Pensare che un vestito possa essere utile a qualcun altro aiuta a separarsene con meno dolore. La regola dell’anno: Se non hai indossato un capo per più di un anno, probabilmente non lo userai mai più. L’armadio capsula: Limitare il guardaroba a pochi pezzi versatili riduce lo stress e facilita la scelta degli outfit.

Perché non riusciamo a liberarci dei vestiti che non mettiamo più: La Sindrome dell’Accumulo

La Sindrome dell’Accumulo, conosciuta anche come Hoarding Disorder, è un disturbo psicologico che si manifesta con una forte difficoltà a liberarsi degli oggetti, spesso per il valore emotivo o simbolico attribuito a essi. Questo comportamento porta a un eccessivo accumulo, compromettendo gli spazi abitativi e generando disagio significativo. Carolyn Rodriguez, docente di psichiatria e scienze comportamentali alla Stanford University School of Medicine, ha condotto una ricerca innovativa basata sulla realtà virtuale per supportare le persone affette da questo disturbo. Il suo studio ha ricreato digitalmente gli ambienti domestici dei partecipanti, consentendo loro di esercitarsi a separarsi dagli oggetti in un contesto sicuro e controllato. I risultati hanno evidenziato che il 78% dei soggetti ha trovato utile questa esperienza, riuscendo a eliminare più oggetti nella vita reale.

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