Champagne è il film che ha portato su Rai 1, la storia di Peppino Di Capri. Ma per quale motivo il pubblico si appassiona così tanto a questo tipo di progetti? C’è una spiegazione interessante.
È andato in onda ieri sera su Rai 1 Champagne, il film che racconta la vita di Peppino di Capri, voce inconfondibile della musica italiana. Un titolo evocativo per una pellicola che non si limita a narrare, ma rievoca un’epoca e un mito, con tutto il suo carico di emozioni, cadute e rinascite. Come accade sempre più spesso quando si parla di biopic, il pubblico si è ritrovato incollato allo schermo. Un giovane attore ha prestato il volto e l’anima a un gigante della canzone. Stiamo parlando di Francesco Del Gaudio, un vero e proprio talento che ha saputo restituire al personaggio, carisma e autenticità.
Ma perché queste storie ci conquistano così profondamente? Cosa accade dentro di noi quando seguiamo le vicende di un personaggio realmente esistito, interpretato con passione da qualcuno che ne ha studiato voce, movimenti, persino le esitazioni? La risposta non è solo narrativa, ma profondamente psicologica. I biopic, ovvero i film biografici, rispondono a un bisogno umano universale: quello di capire chi siamo attraverso chi ci ha preceduto. E quando il racconto riguarda personaggi iconici, in particolare del mondo dello spettacolo, il coinvolgimento emotivo si amplifica.
Champagne, il fascino delle storie vere: perché piacciono così tanto al pubblico
C’è un dettaglio che rende i biopic ancora più magnetici: la capacità degli attori, spesso giovani e non ancora completamente noti, di farsi veicolo di memoria. Non si tratta solo di imitazione. I migliori attori biografici non copiano: evocano. Lasciano spazio al personaggio, diventano trasparenti. È come se l’icona che abbiamo conosciuto attraverso la televisione, i dischi o le riviste, tornasse viva davanti a noi. Il lavoro fatto da tutto il cast è curato nel dettaglio. Di sicuro è una grande opportunità per un giovane talento, quella di potersi calare nei panni di personaggi iconici, come Peppino di Capri. Nel caso di Champagne, lo spettatore non assiste solo alla storia di Peppino, ma alla sua trasfigurazione cinematografica, al suo ritorno alla vita tramite un volto nuovo. Questo crea un effetto quasi ipnotico: vediamo due persone contemporaneamente. Da un lato, l’attore che si misura con un’impresa enorme, quella di rappresentare un mito nazionale. Dall’altro, il personaggio iconico, che si ricompone davanti ai nostri occhi, non più statico nella memoria, ma in movimento, con tutte le sue sfaccettature.
Dal punto di vista psicologico, ciò attiva un meccanismo di empatia profonda. Non proviamo solo simpatia o affetto: ci sentiamo partecipi. In fondo, la grandezza dei biopic sta nel trasformare un racconto privato in un’esperienza collettiva. Per i telespettatori è motivo di confronto e di interazione con gli altri. Quante volte ci capita di guardare un film e di commentarlo poi sui social? Tra pagine e gruppi, sono molteplici le conversazioni che si aprono dopo la visione di un film. I film come Champagne toccano corde profonde, non solo perché parlano di celebrità, ma perché parlano in realtà, di tutti noi. Di come si diventa adulti, di come si superano le delusioni, di come si affrontano le aspettative degli altri. In fondo, ciò che ci commuove davvero è vedere che anche i grandi hanno avuto momenti di smarrimento. Che anche loro, come noi, hanno avuto bisogno di rialzarsi.
Psicologia del Biopic e il legame con il cinema: lo studio di Philip Zimbardo
Uno dei maggiori esperti che ha indagato il legame tra psicologia e cinema, in particolare nell’ambito dei biopic, è Philip Zimbardo, celebre per il controverso esperimento carcerario di Stanford. Il suo lavoro ha messo in luce quanto l’assunzione di un ruolo possa modificare profondamente pensieri, emozioni e comportamenti. Questo è un punto chiave anche quando si analizza la rappresentazione cinematografica di figure storiche o celebri: l’attore non si limita a recitare, ma finisce per vivere e interiorizzare un’identità, con effetti psicologici spesso profondi. Potremmo pensare ai biopic non solo come ritratti di personaggi famosi, ma come veri e propri “esperimenti psicologici” in cui gli attori si calano in vite altrui fino quasi a confondere i confini tra sé e il ruolo. In un certo senso, ogni biopic è una nuova versione dell’esperimento di Stanford: lo studio di come l’identità possa essere trasformata, riscritta o perfino assorbita, sotto i riflettori del set.