Quando siamo a lavoro, viviamo maggiormente lo stress da prestazione o una costante ricerca di eccellenza? La psicologia ha una risposta che ti aiuterà a chiarire tutti i dubbi.
Ogni mattina ti svegli e senti già una pressione sulle spalle. Non è fisica, ma mentale. Un carico che ti accompagna fino a sera. La sensazione che devi fare sempre di più, sempre meglio, e possibilmente senza sbagliare. È qualcosa che conosce bene chi lavora in ambienti competitivi, chi ha un ruolo di responsabilità o semplicemente chi tiene molto al proprio lavoro. Ma da dove arriva questa pressione? È davvero stress da prestazione oppure è la tua voglia di eccellere che si fa sentire? Capire la differenza è fondamentale per imparare a gestirla e ritrovare un equilibrio.
Nella nostra società, il lavoro è diventato molto più di un mezzo per guadagnarsi da vivere. È una parte fondamentale della nostra identità. Il modo in cui lavoriamo, quanto siamo efficienti, quanto veniamo riconosciuti, tutto questo influisce su come ci percepiamo. Per questo, molte persone si ritrovano a vivere ogni giornata lavorativa come una prova da superare. Ogni email, ogni presentazione, ogni call può trasformarsi in un test di valore personale. Tutto questo inevitabilmente, carica di aspettative gli altri ma prima di tutto, noi stessi. Le giornate di lavoro finiscono per diventare in molti casi, stressanti e difficili da sostenere.
Stress e ambizione sana: la differenza spiegata dalla psicologia
Lo stress da prestazione nasce spesso in contesti in cui si sente di non poter sbagliare. È tipico di chi lavora sotto osservazione, di chi riceve giudizi frequenti o di chi ha interiorizzato uno standard di perfezione assoluta. In questi casi, ogni errore viene vissuto come un fallimento personale. Non c’è spazio per la leggerezza, per l’errore costruttivo o per l’improvvisazione. Il corpo resta in allerta, la mente non si spegne mai. Tutto questo genera ansia, insonnia, stanchezza cronica e senso di inadeguatezza. Al contrario, la ricerca di eccellenza è guidata da una motivazione positiva. Non si ha paura di sbagliare, ma si ha voglia di fare bene. Non si lavora per il giudizio altrui, ma per soddisfazione personale. È una forma di energia che stimola la curiosità, la voglia di imparare, la capacità di accettare le sfide. Anche chi cerca l’eccellenza può sentire fatica e pressione, ma non ne è schiacciato. Riesce a gestire meglio i momenti difficili, a ricaricarsi, a non perdere fiducia.
Molte persone si trovano però in una zona grigia, in cui questi due stati d’animo si sovrappongono. Iniziano con entusiasmo, ma finiscono per sentirsi in trappola. Oppure, cercano di essere eccellenti per sentirsi finalmente “abbastanza” in un contesto che non li valorizza. Uno degli errori più comuni è confondere l’impegno con la pressione. È giusto volersi migliorare, crescere, fare bene. Ma quando questa spinta nasce dalla paura, dall’ansia di non essere apprezzati o dal bisogno continuo di conferme esterne, allora non è più sana. Non si tratta più di voglia di eccellere, ma di perfezionismo tossico. La domanda da porsi è semplice: Se senti che ogni giorno sei sotto esame, se temi il giudizio, se non riesci mai a sentirti all’altezza, è probabile che tu stia vivendo stress da prestazione. Se invece ti senti stanco ma soddisfatto, curioso, motivato anche nei momenti difficili, allora probabilmente sei guidato da una ricerca di eccellenza sana.