Mare Fuori e il modello educativo di Beppe: quando la cura è più forte della punizione

Il personaggio di Beppe in Mare Fuori appassiona il pubblico. Il suo modello educativo trascina e fa riflettere, per quale motivo? Ecco da cosa è possibile prendere spunto per una riflessione sana.

La quinta stagione di Mare Fuori è disponibile integralmente su RaiPlay ed è tornata su Rai 2 da ieri sera con i primi due episodi. La serie ha stregato il pubblico italiano e continua a raccontare l’adolescenza nel suo lato più ruvido, dove ogni scelta pesa come un macigno e ogni errore può segnare per sempre. Ma Mare Fuori non è solo una serie sul carcere minorile: è, più profondamente, una storia di possibilità. E uno dei simboli più intensi di questa speranza è proprio lui, Beppe, l’educatore interpretato da un intenso Vincenzo Ferrera. In un universo narrativo in cui dolore, abbandono e rabbia spesso si intrecciano in un nodo quasi inestricabile, Beppe rappresenta l’unico adulto che riesce a non farsi travolgere dalle colpe dei ragazzi, ma ne riconosce le ferite.

Il suo approccio non è punitivo, ma profondamente umano. E in questo, Mare Fuori fa qualcosa di straordinario: mette in scena un modello educativo che, pur nato dietro le sbarre, parla a tutti noi. Genitori, insegnanti, educatori, chiunque abbia a che fare con adolescenti in cerca di un’identità. Il rapporto da coltivare non è per nulla facile. Gli adolescenti vivono continuamente stati d’animo differenti e profondi turbamenti. Per questo motivo è importante utilizzare sempre approcci e parole, curati nei minimi dettagli. Mare Fuori funziona anche perché il carcere minorile in cui è ambientata la vicenda è una metafora potentissima dell’adolescenza stessa.

Chi è davvero Beppe in Mare Fuori: un uomo che lotta contro l’indifferenza

Dietro la calma apparente di Beppe si nasconde un uomo che conosce il dolore. Lo si percepisce nei silenzi, nei gesti misurati, nella capacità di accogliere la rabbia senza respingerla. Non alza la voce, non umilia, non mette in riga: accompagna. Non giudica i ragazzi per quello che hanno fatto, ma li ascolta per capire perché lo hanno fatto. E questa è già una rivoluzione. In molte scene, il suo modo di entrare in relazione è disarmante: accetta i no, i silenzi, persino gli insulti, ma non si allontana. Resta. Ed è proprio questo “restare”, questo non mollare, che diventa la chiave educativa più potente. Perché un adolescente problematico, dentro o fuori dal carcere, non ha bisogno di qualcuno che lo comandi, ma di qualcuno che lo veda. Che lo tenga lì, anche quando scappa. Che lo chiami per nome, anche quando si nasconde dietro una maschera.

Mare Fuori e il rapporto di Beppe con i ragazzi
Mare Fuori e il rapporto di Beppe con i ragazzi

Il legame tra Beppe e alcuni ragazzi, non è mai paternalistico ma piuttosto è un’alleanza. Un patto silenzioso che dice: “Io non ti salvo, ma se vuoi provarci, io ci sono”. Beppe non applica un metodo. Non segue protocolli rigidi. La sua forza è nella relazione, nella fiducia, nella coerenza. Ed è un modello che, pur sviluppandosi in un contesto estremo, può insegnare molto anche a chi cresce adolescenti “liberi”, fuori dal carcere ma magari imprigionati da ansie, social network, aspettative familiari, insicurezze. Nel nostro quotidiano, siamo spesso tentati dalla scorciatoia della punizione: togliere il telefono, negare una libertà, umiliare con un rimprovero. Ma l’effetto è quasi sempre il contrario: si crea distanza, non comprensione. Beppe, al contrario, costruisce ponti, non alza muri. E questo principio educativo, la cura che è più forte della punizione, è quello che dovrebbe ispirare chiunque si trovi a guidare un adolescente. Mare Fuori non è solo una serie. È diventata un linguaggio condiviso, un luogo di identificazione e riflessione per una generazione spesso raccontata in modo superficiale. L’arco narrativo di Beppe e dei ragazzi che cambia, episodio dopo episodio, è una dichiarazione d’intenti.

Modello educativo da adottare con gli adolescenti: lo studio psicologico che illumina la mente

Lo psicologo dello sviluppo Martin Hoffman ritiene che, nel rapporto con gli adolescenti, sia più efficace un approccio educativo fondato sull’induzione piuttosto che sulla punizione. L’induzione consiste nel guidare il ragazzo a riflettere, attraverso il dialogo, sulle proprie azioni e sulle possibili conseguenze, favorendo così lo sviluppo dell’empatia e del senso morale. Questo metodo valorizza l’autonomia del giovane, spingendolo a cambiare comportamento per motivi etici interiori, piuttosto che per paura di sanzioni. Secondo Hoffman, gli adolescenti cresciuti con questo tipo di educazione risultano più sicuri di sé e riescono a costruire rapporti sociali più sani, rispetto a coloro che sono stati educati con uno stile autoritario e basato sulla punizione.

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