Molte persone vivono con difficoltà l’idea di doversi distaccare da qualcuno anche se quest’ultimo, è causa di sofferenza, per quale motivo succede? La risposta approfondita.
Ci sono legami che non si spezzano nemmeno quando fanno male. Amori che, nonostante le lacrime, ci tengono stretti. Relazioni che ci consumano, ma che non riusciamo ad abbandonare del tutto. È come se una forza invisibile ci trattenesse, come se la mente si rifiutasse di lasciar andare ciò che il cuore ha già condannato. Eppure, accade a chiunque. Anche alle persone più razionali, più consapevoli, più indipendenti. Quando l’amore bussa alla porta, si viene completamente travolti. La voglia di vivere tutti i momenti con quella persona, finisce per prendere il totale sopravvento.
Quando le cose però, finiscono per non funzionare più, tutto si complica. Lasciare andare chi amiamo è forse una delle sfide emotive più grandi, soprattutto quando quell’amore ha smesso da tempo di farci bene. Non è solo questione di abitudine, né soltanto paura della solitudine. C’è qualcosa di più profondo che si annida nel cervello, una sorta di meccanismo neurologico che ci tiene prigionieri di ciò che, razionalmente, dovremmo abbandonare. Ma perché continuiamo a cercare chi ci ignora, a giustificare chi ci ferisce, a idealizzare chi non ha più niente da offrirci se non dolore? La risposta, sorprendentemente, non è solo nel cuore. È nella nostra testa.
Quando il cervello confonde l’attaccamento con l’amore: cosa succede
L’attaccamento che sviluppiamo nelle relazioni affettive si basa su circuiti cerebrali che coinvolgono neurotrasmettitori potenti come la dopamina, l’ossitocina e la serotonina. Quando stiamo bene con qualcuno, questi ormoni ci regalano una sensazione di piacere e sicurezza. Ma qui arriva il punto critico: il cervello non distingue il bene o il male in senso emotivo. Distingue solo tra ciò che è noto e ciò che è ignoto. Così, anche una relazione tossica, se costante e ripetuta, può diventare “famigliare” per il cervello. Im psicologia si parla di rinforzo intermittente. È lo stesso meccanismo che ci tiene incollati ai social o alle scommesse. Non sappiamo quando riceveremo una risposta, un sorriso, un momento di intimità e proprio per questo restiamo nell’attesa e nell’illusione. C’è poi un altro aspetto: il bisogno di confermare le nostre convinzioni profonde. Se da piccoli abbiamo interiorizzato l’idea di doverci “meritare” l’amore, finiremo per attrarre e trattenere persone che confermano questa dinamica: ci fanno sentire inadeguati, in colpa, costantemente in attesa. Per il cervello, questa sofferenza ha un senso: è coerente con la nostra narrativa interna.
La buona notizia è che, proprio come il cervello può imparare a restare in relazioni sbagliate, può anche disimpararlo. Tutto sta nel riuscire a mettere in pratica piccole ma utilissime strategie. Come prima cosa, smetti di cercare risposte da chi ti ha già dato il suo silenzio. Costruisci la tua versione della fine. Dai tu un significato all’assenza, anche se doloroso. Il tuo cervello ha bisogno di una narrazione coerente per potersi staccare. Impara a migliorare le tue reazioni. La sofferenza si amplifica quando reagiamo impulsivamente a ogni pensiero o ricordo. Prova a diventare osservatrice della tua mente. Prendi consapevolezza del fatto che, il dolore provato non va dimenticato ma piuttosto gestito. Distrarti e spezzare la routine, potrebbe di sicuro aiutarti. Dopo relazioni intense e conflittuali, la calma può sembrare noiosa. Ma è solo questione di abitudine neurologica. Rieducare il cervello a riconoscere il bene come qualcosa di desiderabile richiede tempo, ma è possibile.
Per quale motivo non riusciamo a staccarci da chi ci fa soffrire: la teoria dell’attaccamento
Il concetto di attaccamento, originariamente introdotto dagli psicologi John Bowlby e Mary Ainsworth, analizza come i legami costruiti nei primi anni di vita influenzino le relazioni future. Bowlby riteneva che l’attaccamento fosse un bisogno umano fondamentale che accompagna l’individuo per tutta la vita, influenzando anche i rapporti amorosi in età adulta. Nel loro testo, gli autori descrivono tre principali modalità di attaccamento. Ansioso: Chi presenta questo stile tende a preoccuparsi molto del rapporto, ha un forte bisogno di rassicurazioni e vive con il timore costante di essere lasciato. Evitante: Le persone con questo profilo preferiscono mantenere una certa distanza emotiva e vedono l’intimità come qualcosa che può minacciare la propria indipendenza. Sicuro: Gli individui con attaccamento sicuro riescono a vivere le relazioni con serenità, sono aperti all’intimità e costruiscono legami stabili e appaganti. Lo stile di attaccamento ha un impatto rilevante sulla qualità delle relazioni.