Selezioni sempre lo stesso film? Ecco che tipo di personalità si nasconde dietro alla persona che, spesso e volentieri, preferisce riguardare una storia già vista piuttosto che scegliere qualcosa di diverso.
C’è chi ha visto Titanic almeno venti volte, chi conosce a memoria tutte le battute di Il diavolo veste Prada o chi, nei momenti di sconforto, torna sempre a guardare Il favoloso mondo di Amélie. E poi ci sono quelli che, davanti a una scelta infinita su Netflix o Prime Video, decidono di rivedere ancora una volta Forrest Gump o Il Signore degli Anelli. Per quanto possa sembrare una semplice abitudine o una forma di nostalgia, la scelta ricorrente dello stesso film può dire molto più di quanto pensiamo sulla nostra personalità. A quanti capita di selezionare, anche a distanza di settimane, lo stesso film? Questa sensazione nasconde molti aspetti che, in alcuni casi, accomunano tantissime persone.
Rivedere lo stesso film, per alcune persone, non è solo un modo per passare il tempo. È come tornare a casa. Quelle storie, quei personaggi, quelle colonne sonore evocano emozioni familiari, rassicuranti. E in un mondo in cui l’incertezza e i cambiamenti sono costanti, il bisogno di ancorarsi a qualcosa di conosciuto è più diffuso di quanto si creda. Quando ci immergiamo in una storia, lo facciamo a trecentosessanta gradi. Gli attori finiscono per entrare nelle nostre case e il legame che si crea, se pur virtuale, diventa una costante nella vita di molte persone, un vero e proprio bisogno.
Sempre lo stesso film? Potrebbe essere un segnale di alta sensibilità emotiva
Gli psicologi che studiano il comportamento ripetitivo legato alla fruizione dei media parlano di un concetto interessante chiamato emotional regulation through media repetition, ovvero, la capacità di regolare le proprie emozioni attraverso la ripetizione di contenuti noti. In altre parole, scegliere sempre lo stesso film non è pigrizia né mancanza di fantasia: è una strategia psicologica per sentirsi al sicuro. Chi torna sempre allo stesso film spesso possiede una personalità riflessiva e profonda, con un’intelligenza emotiva sviluppata. Queste persone non cercano emozioni forti o nuove a ogni costo, ma prediligono la connessione con ciò che è già noto, perché solo ciò che si conosce davvero può toccare nel profondo. In questo senso, il film diventa una sorta di “coperta emotiva” che consola, protegge e permette di rielaborare sentimenti e pensieri.
Secondo diversi studi di psicologia cognitiva, le narrazioni che scegliamo di consumare più volte rispecchiano aspetti profondi della nostra identità. Quando una persona guarda sempre lo stesso film, in realtà sta dicendo qualcosa su come percepisce se stessa, su cosa desidera, su quali valori reputa fondamentali. Chi ama Le ali della libertà, ad esempio, potrebbe essere una persona che ha vissuto frustrazioni personali e cerca nel film una forma di riscatto simbolico. Chi invece non si stanca mai di Notting Hill, probabilmente coltiva una visione romantica e gentile dei rapporti, dove anche le differenze più grandi possono essere superate. Rivedere sempre lo stesso film non è sinonimo di fissazione. Le persone che hanno questa abitudine tendono ad avere un tratto nascosto legato alla consapevolezza emotiva. Non sono superficiali, né evitano le sfide: piuttosto, hanno imparato a riconoscere ciò che le fa stare bene e a concederselo senza sensi di colpa.
Come le storie che scegliamo raccontano chi siamo davvero: il punto di vista psicologico
Le ricerche nell’ambito della psicologia cognitiva evidenziano che le narrazioni che tendiamo a preferire e a riascoltare nel tempo rivelano elementi profondi della nostra identità. Non si tratta solo di gusti o preferenze: queste storie partecipano attivamente alla formazione di quella che gli studiosi definiscono identità narrativa. Questo concetto, proposto dallo psicologo Dan P. McAdams, considera l’identità come una sorta di racconto personale in costante evoluzione, capace di unire passato, presente e futuro immaginato per dare coerenza e significato alla propria esistenza. Secondo McAdams, queste narrazioni includono spesso motivi ricorrenti legati alla resilienza, alla trasformazione personale e ai significati che attribuiamo a ciò che viviamo. Non solo raccontano chi siamo, ma influenzano anche il nostro modo di vedere il mondo e di interagire con gli altri.