Il digiuno intermittente è una pratica che alterna periodi in cui si mangia a fasi in cui si digiuna.
Negli ultimi anni è diventato sempre più popolare non solo per la perdita di peso, ma anche per i potenziali benefici sulla salute mentale e fisica. Tuttavia, non tutti riescono ad affrontarlo con la stessa facilità, e la psicologia ci offre risposte interessanti sul perché. Per alcune persone, il digiuno sembra quasi naturale. Altre, invece, lottano fin dai primi giorni. Non è solo una questione biologica: il nostro stato psicologico gioca un ruolo determinante. Studi recenti spiegano come l’esperienza pregressa, la motivazione, l’autocontrollo e persino la regolazione emotiva siano elementi che influenzano profondamente la riuscita del digiuno intermittente.
Esperienza, motivazione e mente: il trio che fa la differenza
Chi ha già praticato il digiuno tende a viverlo con più serenità. La ricerca pubblicata su Frontiers in Psychology mostra che i praticanti abituali riescono a distinguere meglio la fame reale dalla voglia emotiva di cibo (Watkins & Serpell, 2016). Nei principianti, invece, prevalgono sensazioni di irritabilità e stress. Secondo Mark Mattson della Johns Hopkins University, ci vogliono da due a quattro settimane per adattarsi davvero al digiuno. In questo lasso di tempo, il corpo e la mente imparano a gestire nuovi ritmi.
Ma non è tutto: anche il motivo per cui si digiuna fa la differenza. Lo psicologo Phillips (2019) sottolinea che chi è spinto da obiettivi chiari – come il miglioramento della salute o motivazioni spirituali – riesce a tollerare meglio la restrizione. Diverso è il caso di chi si approccia al digiuno senza una vera spinta interna: in questi casi la probabilità di abbandono è più alta. Krista Varady, dell’Università dell’Illinois, aggiunge che il digiuno intermittente si adatta bene a chi preferisce una struttura temporale fissa rispetto al conteggio delle calorie. Per altri, però, rispettare gli orari senza cedere alle tentazioni può essere un ostacolo insormontabile.
Autocontrollo, emozioni e benefici mentali
Una delle componenti psicologiche più importanti è l’autocontrollo. Gailliot e Baumeister (2007) hanno evidenziato che resistere alla fame richiede molta energia mentale. Tuttavia, riuscirci aumenta il senso di controllo e autostima. Superare un periodo di digiuno può farci sentire più forti e capaci, come se avessimo conquistato una piccola vittoria su noi stessi. Con il tempo, il digiuno può anche portare benefici inaspettati sul piano emotivo. Michalsen (2010) ha osservato un miglioramento dell’umore dopo alcune settimane, spesso legato alla sensazione di padronanza e soddisfazione. Inoltre, secondo Särkämö (2018), il digiuno può stimolare dopamina ed endorfine, sostanze che aiutano a regolare l’umore e a ridurre l’ansia.
Tuttavia, non va ignorato il rovescio della medaglia. Carter (2018) ricorda che anche se il digiuno sembra più semplice di una dieta tradizionale, può essere difficile da integrare nella vita sociale. Occasioni come cene, pranzi di famiglia o eventi possono trasformarsi in momenti di frustrazione. E non solo: Hudson (2010) avverte che, in alcune persone, il digiuno può favorire comportamenti alimentari disfunzionali, soprattutto quando manca una guida esperta. In definitiva, non esiste un’unica esperienza di digiuno intermittente. Per qualcuno è uno strumento efficace e persino piacevole, per altri può trasformarsi in una fonte di stress. La psicologia ci insegna che ad avere un ruolo chiave sono le esperienze precedenti, la motivazione profonda, la resilienza mentale e la capacità di ascoltare i segnali del corpo senza ignorarli.
Adottare il digiuno senza una reale consapevolezza può portare più danni che benefici. Al contrario, se inserito in un percorso personale ben guidato, può diventare un potente alleato non solo per il corpo, ma anche per la mente.