Se tendi a isolarti quando sei giù, la psicologia ha una spiegazione potente

Sei abituato a isolarti quando ti senti giù di morale? La spiegazione psicologica è davvero illuminante, un modo per poter far luce su molti aspetti interessanti e soprattutto, comuni.

Capita a tanti, forse a più persone di quante immaginiamo: nei momenti di maggiore tristezza, quando il morale scivola verso il basso e l’energia mentale sembra consumata, la reazione più istintiva è quella di chiudersi in se stessi. Ci si stacca dagli altri, si smette di rispondere ai messaggi, si rinuncia agli inviti, anche quelli più affettuosi. In un attimo, ci si ritrova avvolti in un silenzio ovattato, apparentemente protettivo, ma spesso fin troppo pesante da sostenere. Chi vive questi momenti non sempre lo fa per scelta consapevole. E nemmeno per mancanza di affetto nei confronti degli altri.

Il bisogno di solitudine che emerge nei periodi bui ha radici profonde, spesso invisibili a occhio nudo, ma ben chiare alla psicologia. Chi si isola tende spesso ad essere frainteso. “È asociale”, “non vuole aiuto”, “si chiude nel vittimismo”: sono frasi che le persone tristi si sentono dire, direttamente o indirettamente. Eppure, il bisogno di allontanarsi temporaneamente dal mondo può rappresentare un tentativo istintivo di autoriparazione. Secondo diversi studi psicologici, quando la mente è sopraffatta da emozioni negative, tristezza profonda e ansia, il cervello cerca di ridurre gli stimoli esterni per concentrarsi sulla riorganizzazione interna.

Perché il dolore ci spinge a chiuderci: la risposta affonda nelle radici evolutive

Dal punto di vista evolutivo, l’isolamento emotivo potrebbe avere avuto una funzione protettiva. Alcuni psicologi evoluzionisti ipotizzano che, nei momenti di vulnerabilità fisica o psichica, il distacco dal gruppo potesse servire a minimizzare i conflitti o a evitare di esporre la propria debolezza, riducendo il rischio di esclusione o aggressione da parte del branco. A questo si aggiunge un’altra dimensione importante: quella dell’autostima. Chi si sente giù spesso è attraversato da pensieri svalutanti su di sé. La mente comincia a ripetere frasi come “Non valgo niente”, “Non voglio pesare sugli altri”, “Tanto nessuno può capirmi davvero”. Queste convinzioni, anche se poco fondate, alimentano il bisogno di sparire, di non disturbare, di rinchiudersi in una sorta di “zona grigia” dove almeno il giudizio degli altri non può colpire. Secondo la teoria dell’attaccamento, elaborata dallo psicologo John Bowlby, le modalità con cui siamo stati accuditi durante l’infanzia influenzano fortemente il nostro modo di chiedere aiuto da adulti. Chi ha interiorizzato l’idea che le proprie emozioni non siano accolte o comprese, potrebbe aver imparato a “risolversela da solo”.

Isolarsi quando si è giù di morale
Isolarsi quando si è giù di morale

Il primo passo per affrontare l’isolamento emotivo è riconoscerlo senza colpevolizzarsi. Non c’è niente di sbagliato nel voler stare da soli per un po’, soprattutto se si sente il bisogno di ritrovare il proprio equilibrio interiore. In psicoterapia, uno degli obiettivi principali quando si lavora con chi tende all’isolamento è proprio quello di esplorare le motivazioni profonde di questo comportamento. Spesso, dietro il desiderio di non vedere nessuno si nasconde la paura di essere visti davvero, con tutte le proprie fragilità. Molto spesso, proprio nei momenti in cui ci sembra di non avere nulla da offrire, abbiamo più bisogno di ricevere. Non per forza consigli, soluzioni o incoraggiamenti, ma semplicemente presenza. Sentirsi spalleggiati dalle persone che amiamo, è fondamentale per poter superare giornate complesse e momenti di buio totale.

Il contributo di John T. Cacioppo: la solitudine come segnale evolutivo

John T. Cacioppo (1951–2018) è stato una figura di spicco nel panorama della psicologia sociale e delle neuroscienze, celebre per le sue ricerche rivoluzionarie sull’impatto dell’isolamento sociale sul benessere mentale e fisico. Secondo Cacioppo, la solitudine non è solo una condizione emotiva, ma un meccanismo evolutivo paragonabile alla fame o alla sete, utile a spingerci a cercare legami con gli altri, fondamentali per la nostra sopravvivenza. Tuttavia, quando si prolunga nel tempo, questo stato può avere gravi conseguenze per la salute: può causare un aumento della pressione arteriosa, indebolire le difese immunitarie e accelerare l’invecchiamento. Le sue ricerche hanno anche dimostrato che l’isolamento modifica la percezione del mondo sociale, portando chi si sente solo a essere più sensibile alle minacce e più incline a evitare i contatti, alimentando così un circolo vizioso. Questo meccanismo può sfociare in disturbi come ansia e depressione.

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