‘Nessuno vuole essere Robin‘, cantava Cesare Cremonini in un amatissimo brano del 2017: ma è davvero così?
Uno degli eventi musicali più attesi dell’estate del 2025 è, indubbiamente, il tour negli stadi di Cesare Cremonini. Il cantautore bolognese, autore di successi senza tempo come Marmellata #25 e 50 Special – quest’ultima, con i Lùnapop, gruppo fenomeno di fine anni ’90 – ha dato inizio alla sua seconda avventura nelle venue sportive più grandi d’Italia, dopo il primo tour negli stadi del 2018, all’inizio del mese di giugno, e avrà fine il prossimo 18 luglio, con la seconda data consecutiva all’Olimpico di Roma. Con ben 550.000 biglietti venduti, Cremonini Live 2025 è un grande successo di pubblico e di critica, e ha dimostrato che, a 45 anni suonati, e con una carriera quasi trentennale, l’artista emiliano è ancora uno dei nomi più interessanti della musica italiana.
Anche un artista così capace e valido, però, può sbagliare. O, meglio, può fare un errore di valutazione su una fascia di pubblico che, sicuramente, può ascoltare le sue canzoni. In particolare, nel 2017, Cremonini ha pubblicato Nessuno vuole essere Robin, uno dei singoli di punta dell’album Possibili scenari. Il brano ha ricevuto un’accoglienza calorosa da pubblico e critica. La canzone si distingue per la capacità di articolare, attraverso metafore tratte dall’immaginario pop, i sentimenti di solitudine e desiderio di riconoscimento tipici della società contemporanea. Il fulcro del testo risiede nella frase “In questo mondo di eroi nessuno vuole essere Robin”, dove si suggerisce che nessuno ambisca a ricoprire ruoli di supporto, in un contesto dominato dalla ricerca del protagonismo. Tuttavia, per quanto forte sia la metafora, e per quanto il significato sia, in parte, condivisibile, la realtà racconta una storia diversa sul personaggio di Robin.
No, Cesare Cremonini: non è vero che nessuno vuole essere Robin
L’assunto implicito che nessuno voglia essere Robin è, in effetti, smentito da dati concreti, da studi psicologici e dalle dinamiche affettive legate alla cultura pop. A cominciare proprio dalla figura di Robin nei fumetti. Introdotto nel 1940 da DC Comics, questo personaggio ha conosciuto numerose incarnazioni, tutte apprezzate e centrali all’interno delle narrazioni supereroistiche. Dick Grayson, il primo Robin, diventa l’eroe indipendente Nightwing; Tim Drake è lodato per intelligenza e rigore morale; Damian Wayne, figlio biologico di Bruce, incarna un’interpretazione più oscura e moderna del ruolo.
Le molteplici versioni del ‘giovane pettirosso’, assistente e figlioccio (o figlio) di Bruce Wayne, in effetti, compaiono regolarmente in serie a fumetti, film, videogiochi e prodotti televisivi di successo come Titans, contribuendo a mantenere alta la popolarità del personaggio, come dimostrano classifiche e sondaggi pubblicati da riviste autorevoli del mondo dei fumetti e non. Un esempio? Nel 2011, IGN ha inserito Dick Grayson all’undicesimo posto e Tim Drake al trentaduesimo nella classifica dei migliori eroi dei fumetti. Nel 2013, Comics Alliance ha nominato Grayson, nella versione Nightwing, il personaggio maschile più attraente dei fumetti americani, confermandone il fascino e la popolarità duratura.
Cosa dice la psicologia sull’argomento
Oltre alla dimensione narrativa, è la psicologia a offrire un’analisi strutturata della preferenza, spesso trascurata, per i ruoli di supporto. La teoria dei ruoli nei team del ricercatore britannico Meredith Belbin (esposta per la prima volta in Management Teams: Why They Succeed or Fail, libro del 1981) rappresenta un riferimento in ambito organizzativo. Secondo Belbin, un gruppo efficace è tale non per la presenza di un solo leader carismatico, ma per l’equilibrio tra diversi profili. Tra questi, il “completer finisher” e il “team worker” sono coloro che si assicurano che il lavoro sia curato nei dettagli e che i rapporti tra i membri siano armoniosi. Questi profili si avvicinano concettualmente al ruolo di Robin: figure essenziali ma spesso invisibili, che garantiscono l’esito positivo delle imprese collettive.
Ricerche condotte nell’ambito della psicologia sociale confermano tale impostazione. Lo psicologo sociale americano Donelson R. Forsyth, nel suo Group Dynamics (2014), osserva che molti individui provano maggiore soddisfazione nel partecipare al successo comune piuttosto che nel guidarlo. Si tratta di una preferenza per ruoli meno esposti, ma dotati di forte valenza etica e relazionale. Secondo un’indagine pubblicata su Social Justice and Welfare Open Access (2022), quasi il 70% degli studenti universitari a Singapore e il 48% dei lavoratori finlandesi preferiscono percorsi di carriera focalizzati sulla crescita personale rispetto a ruoli di leadership.
Non solo Robin: gli altri aiutanti amati nel mondo della letteratura, del cinema e delle serie tv
La cultura popolare conferma ulteriormente quanto il ruolo dell’“aiutante” sia amato e riconosciuto. Samwise Gamgee in Il Signore degli Anelli è un modello di lealtà e forza interiore. Watson, al fianco di Sherlock Holmes, non è meno indispensabile del celebre detective. Ron Weasley accompagna Harry Potter nel percorso che conduce alla maturazione, mentre Dr. Wilson costituisce il contraltare emotivo del protagonista di Dr. House. Anche Chewbecca, pur non parlando, diventa emblema di fedeltà in Star Wars. Questi personaggi non solo affiancano il protagonista, ma spesso lo salvano. La loro presenza consente al leader di compiere il proprio destino, senza rubarne la scena, ma neppure oscurandosi completamente.
Un sondaggio di YouGov (‘How Americans think fictional characters would vote in 2024‘) mostra che gli spettatori statunitensi sanno esprimere giudizi articolati su personaggi secondari, conoscono le loro caratteristiche e talvolta si identificano più con loro che con i protagonisti. La complessità e la profondità degli aiutanti, spesso più sfaccettati, attraggono proprio perché incarnano l’umanità quotidiana e le relazioni reali. Inoltre, l’importanza dei ruoli secondari è riconosciuta anche nel mondo del lavoro.
Il ruolo fondamentale dei completer finishers nel mondo del lavoro
Harvard Business Review, in un’analisi del 2024 (New Rules for Teamwork), ha sottolineato che il successo di un’organizzazione dipende oggi più che mai dalla capacità di valorizzare ogni componente del team. I “completer finishers”, secondo il manuale Belbin, sono fondamentali per rifinire il lavoro, individuare gli errori e garantire il rispetto di standard qualitativi elevati. Figure apparentemente marginali risultano così centrali, tanto nel mondo aziendale quanto nei contesti sociali. Infine, nella musica stessa, dove la centralità dell’autore viene spesso esaltata, esistono esempi di collaborazione silenziosa che definiscono il successo. Produttori, arrangiatori, turnisti: tutti contribuiscono in modo decisivo, pur restando spesso dietro le quinte. Trascurare questi ruoli, implicitamente o attraverso una metafora come quella proposta da Cremonini, seppur con un obiettivo assolutamente valido, significa semplificare una realtà molto più articolata.
Dove la canzone ha completamente ragione
La morale intrinseca del brano è, però, indubbiamente giusta e corretta. La canzone, infatti, celebra l’autenticità e invita ad accettare la propria umanità, con le sue fragilità e solitudini. Cremonini non sminuisce, cioè, Robin, ma lo valorizza come simbolo di chi ha il coraggio di mostrarsi per quello che è, senza inseguire ideali irrealistici di perfezione. In un mondo che idolatra la visibilità, dice Cremonini, chi decide di restare nell’ombra può essere, in effetti, l’unico capace di fare luce. L’errore si può trovare semplicemente nell’assunto che il mondo, in generale, idolatri la visibilità, e che nessuno voglia essere Robin; cosa che, come dimostrato, non è vera a monte.
La canzone Nessuno vuole essere Robin ha, quindi, il merito di affrontare un tema centrale nella società contemporanea, ma potrebbe cadere nella trappola di un assunto generalista. I dati, le narrazioni e la psicologia mostrano con chiarezza che molti scelgono consapevolmente di essere Robin, e che vengono anche spinti a farlo. Non perché manchi il coraggio di essere Batman, ma perché si riconosce il valore silenzioso dell’aiuto, della collaborazione, della presenza costante.