Lavoro, ci sono i 5 casi in cui il datore non può licenziarti (nemmeno se lo vuole): la guida dell’avvocato

Ci sono almeno cinque casi, per i quali il datore di lavoro non può licenziare il suo dipendente, nemmeno se lo vuole: ecco la guida dell’avvocato e la spiegazione.

Il licenziamento rappresenta l’interruzione unilaterale del rapporto di lavoro da parte del datore, disciplinata dal diritto del lavoro italiano attraverso quattro categorie principali: giusta causa, giustificato motivo soggettivo, giustificato motivo oggettivo e licenziamento collettivo. Ciascuna risponde a presupposti specifici, che riguardano o la condotta del lavoratore o le esigenze organizzative ed economiche dell’azienda. La giusta causa è la forma più grave: comportamenti estremi come furto, falsi certificati o minacce sul lavoro rendono impossibile proseguire il rapporto anche solo temporaneamente, e giustificano un’interruzione senza preavviso. Il giustificato motivo soggettivo, invece, si riferisce a condotte meno gravi ma comunque sanzionabili, come negligenza, scarso rendimento o violazioni contrattuali, e prevede la possibilità di difesa da parte del lavoratore.

Diverso è il giustificato motivo oggettivo, legato a scelte aziendali indipendenti dal comportamento del dipendente: riorganizzazioni, crisi economiche, innovazione tecnologica o soppressione del posto. In questi casi, prima di procedere, il datore è tenuto a valutare l’eventuale ricollocazione. Infine, il licenziamento collettivo riguarda aziende con più di 15 dipendenti e coinvolge almeno cinque lavoratori in un arco di 120 giorni, per ragioni economiche, produttive o strategiche, come fusioni o delocalizzazioni. In ogni forma, il licenziamento richiede motivazioni fondate e procedure precise, volte a tutelare sia il lavoratore sia il datore. Le differenze tra le varie tipologie riflettono un equilibrio tra esigenze aziendali e diritti fondamentali del lavoratore.

Lavoro: ecco i cinque casi in cui il datore non può licenziare il dipendente, nemmeno se lo vuole

Non tutti sanno che ci sono dei casi, in cui il dipendente è ‘protetto‘, e non può essere licenziato, eccetto che se non abbia commesso delle infrazioni importanti, che annullano la sua protezione. In generale, si tratta di una tutela rafforzata contro il licenziamento, di cui il dipendente gode proprio perché ha bisogno di una maggiore tutela. A rivelarli, è stato un noto esperto di legge e diritto del lavoro, e cioè l’avvocato Nicola Soldani. Prima di tutto, durante uno sciopero o per attività sindacale. In questo caso, il licenziamento è vietato, eccetto nel caso in cui si assumano condotte gravemente illecite, come atti violenti o penalmente rilevanti.

Lavoro datore
Due dei casi in cui il lavoratore non può essere licenziato. (Fonte: Instagram – @avvocatonicolasoldani).

La maternità e paternità godono di un’ampia protezione, estesa dall’inizio della gravidanza fino al primo anno di vita del bambino, ma la cessazione dell’attività o la colpa grave possono legittimare il recesso. Nel caso di malattia o infortunio, il lavoratore è protetto durante il cosiddetto periodo di comporto, ma una volta superato tale limite, o in presenza di giusta causa, il licenziamento diventa lecito. Anche in occasione del matrimonio è vietato licenziare il dipendente o la dipendente dal giorno di pubblicazione, fino a un anno dopo la celebrazione, ma restano valide le stesse eccezioni previste per maternità.

In caso di trasferimento d’azienda, infine, spiega l’esperto, il contratto prosegue con il nuovo datore. In questo caso, il licenziamento è consentito solo se sussistono motivi oggettivi o una giusta causa. Quindi, queste tutele, seppur robuste, non sono assolute: possono essere superate soltanto in presenza di motivi gravi e documentati, secondo quanto stabilito dalla normativa. In assenza di tali condizioni, il licenziamento è da considerarsi nullo.

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