La solitudine non è sempre legata all’assenza di persone intorno a noi.
Molti sperimentano una sensazione di isolamento interiore anche quando sono circondati da amici, colleghi o familiari. Questo fenomeno, studiato da diversi esperti in psicologia e neuroscienze, nasce da una discrepanza tra le connessioni sociali desiderate e quelle realmente percepite. Secondo il Dr. John Cacioppo e la Dr.ssa Stephanie Cacioppo, questa condizione dipende dalla qualità delle interazioni più che dalla loro quantità. Non basta essere fisicamente presenti in un gruppo per sentirsi connessi. La solitudine in compagnia può derivare da una bassa autostima, dalla paura del giudizio altrui o da una difficoltà nell’esprimere i propri pensieri ed emozioni. A livello neurologico, la solitudine attiva aree del cervello associate alla sensibilità alle minacce sociali. Studi di risonanza magnetica condotti da Cacioppo e Jean Decety hanno evidenziato che chi si sente solo tende a percepire più negativamente gli stimoli sociali, interpretandoli come segnali di rifiuto o esclusione.
Solitudine e isolamento: due concetti diversi
Sentirsi soli in compagnia è diverso dall’isolamento sociale. La Dr.ssa Nicole Valtorta spiega che mentre l’isolamento è una condizione oggettiva di mancanza di interazioni, la solitudine è una percezione soggettiva. Questo significa che una persona può avere una fitta rete sociale e provare comunque un senso di vuoto emotivo. Le interazioni superficiali o prive di significato contribuiscono a rafforzare questa sensazione. Le conversazioni formali o il semplice scambio di battute non bastano a costruire un legame autentico. Per sentirci davvero connessi, abbiamo bisogno di relazioni in cui ci sentiamo visti, ascoltati e compresi. La solitudine cronica non incide solo sul benessere emotivo, ma anche sulla salute fisica. La professoressa Julianne Holt-Lunstad ha condotto studi che dimostrano come chi si sente solo abbia un rischio maggiore di sviluppare problemi cardiovascolari, un sistema immunitario indebolito e un aumento dei livelli di stress. Il cervello interpreta la solitudine come una situazione di pericolo, attivando la risposta allo stress e producendo un aumento del cortisolo, l’ormone che, a lungo termine, può portare a infiammazione e a una maggiore vulnerabilità alle malattie.
Come affrontare la solitudine in compagnia
Il Dr. Marco Crepaldi, esperto di isolamento sociale, suggerisce che il primo passo per superare questa sensazione è riconoscere il problema senza colpevolizzarsi. Sentirsi soli in mezzo agli altri non significa essere sbagliati, ma può essere il segnale di un bisogno più profondo di connessione autentica. Gli esperti consigliano di concentrarsi sulla qualità delle relazioni più che sulla quantità. Creare momenti di condivisione autentica, aprirsi emotivamente con le persone di fiducia e cercare attività che permettano di sviluppare legami significativi può fare la differenza. Le terapie basate sulla cognizione sociale, come la terapia cognitivo-comportamentale, possono aiutare a modificare le percezioni distorte legate alle relazioni, migliorando la fiducia negli altri e nelle proprie capacità relazionali.
Sentirsi soli in compagnia è un’esperienza comune, ma non deve diventare una condizione permanente. Comprendere che la solitudine non dipende solo dalla presenza fisica degli altri, ma dalla qualità delle interazioni, è il primo passo per trovare modi concreti per affrontarla. Creare legami autentici e significativi può trasformare anche i momenti trascorsi in compagnia in vere occasioni di connessione emotiva.