Sentire ansia al solo pensiero di fallire è qualcosa che riguarda molte persone, anche quelle che all’esterno appaiono sicure di sé.
A volte si tratta solo di una tensione leggera prima di una prova importante. Altre volte, invece, quella paura si trasforma in un ostacolo che blocca ogni iniziativa. Ma da dove nasce questa sensazione così intensa? Secondo lo psicologo Henry Murray, già nel 1938 esisteva un termine per descrivere questo fenomeno: “infavoidance”, ovvero l’evitamento del fallimento. Murray lo considerava un bisogno umano innato, legato al desiderio di riuscire. Quando temiamo di fallire, in realtà stiamo proteggendo la nostra autostima, il nostro senso di identità. Il fallimento, più che un risultato, viene percepito come una minaccia al nostro valore personale. A sostegno di questa visione, uno studio condotto da Conroy e colleghi ha messo in evidenza le conseguenze psicologiche della paura di fallire. Tra queste ci sono la vergogna, la diminuzione dell’autostima, ma anche il timore di deludere le persone importanti della nostra vita. Questo spiega perché, in molte situazioni, rinunciamo in partenza: meglio non provarci, che rischiare di soffrire o essere giudicati.
Il giudizio degli altri pesa più dell’errore
Spesso la paura di fallire è accompagnata da un’altra grande inquietudine: quella del giudizio. Non temiamo solo l’errore in sé, ma anche come potremmo apparire agli occhi degli altri. Questo meccanismo è stato descritto da Rapee e Heimberg, due esperti di ansia sociale. Hanno evidenziato come alcune persone tendano a sovrastimare le conseguenze negative di ciò che fanno, immaginando costantemente critiche, disapprovazione o rifiuto. Anche Clark e McManus hanno indagato questo processo, dimostrando che chi soffre d’ansia sociale filtra le esperienze con una lente distorta. Le proprie performance vengono riviste in modo critico, e anche i minimi segnali di disinteresse altrui vengono amplificati. Questo alimenta un circolo vizioso in cui ogni rischio viene evitato per non esporsi al possibile fallimento.
Nel mondo del lavoro, il timore del giudizio può diventare un vero ostacolo alla crescita. Chris Dyer, esperto in cultura aziendale, sottolinea che chi ha paura di sbagliare spesso rinuncia alle opportunità migliori. Eppure, sostiene, fallire è parte del processo di apprendimento. In ambienti che normalizzano l’errore, le persone si sentono più libere di sperimentare e migliorare.
Autostima, cultura e strategie per andare oltre
Ma non si tratta solo di dinamiche sociali. La paura di fallire si radica anche nell’immagine che abbiamo di noi stessi. Lo psicologo Rosenberg, già negli anni Sessanta, aveva individuato una relazione diretta tra autostima fragile e paura del giudizio. Quando non ci sentiamo abbastanza, ogni fallimento sembra una conferma dei nostri limiti. Studi recenti, come quelli condotti da Çelik & Atilla e da Sultan & Kanwal, hanno osservato che molti studenti, per evitare la frustrazione del fallimento, adottano comportamenti auto-sabotanti. Preferiscono non prepararsi adeguatamente o non partecipare affatto, per potersi dire che “non ci hanno nemmeno provato sul serio”.
Eppure, esistono modi per cambiare approccio. La psicologa Candace Doby suggerisce di rivalutare il rischio, considerandolo una porta aperta verso la crescita personale. Non sempre bisogna vincere, a volte è sufficiente imparare. Accettare l’errore, riconoscerne il valore educativo e smettere di identificarci solo con i nostri risultati è un primo passo fondamentale. Anche creare ambienti – familiari, scolastici o lavorativi – in cui non è vietato sbagliare può fare una grande differenza. Le persone che si sentono accolte e non giudicate sono più disposte a uscire dalla zona di comfort, a prendere decisioni e a mettersi in gioco.
In fondo, la paura di fallire è parte della nostra umanità. Ma se la comprendiamo e impariamo a gestirla, può trasformarsi in un alleato per migliorare e non più in un nemico da evitare.