Per quale motivo feriamo le persone che sono vicine a noi? Lo facciamo per sentirci meglio? La spiegazione psicologica conferma questo aspetto ma spiega alcuni dettagli interessanti.
Ci sono momenti in cui, anche senza volerlo davvero, diciamo o facciamo qualcosa che colpisce chi ci sta vicino. A volte si tratta di una parola di troppo, di una frecciata velata, di un silenzio strategico. In altre occasioni, invece, il gesto è più netto, quasi chirurgico. Una ferita che infliggiamo con lucidità. È in questi momenti che emerge un interrogativo tanto scomodo quanto affascinante: perché ci capita di ferire gli altri, anche chi amiamo, e perché farlo ci fa sentire meglio? Sono molteplici gli aspetti nascosti dietro a questo atteggiamento.
La psicologia, da tempo, cerca una risposta a questa dinamica umana apparentemente paradossale. Si è portati a pensare che chi danneggia il prossimo sia una persona crudele, priva di empatia. Ma la realtà è molto più complessa. Esiste una vasta zona grigia in cui le persone feriscono non per cattiveria, ma per proteggersi, per sopravvivere emotivamente, a volte perfino per sentirsi meno fragili. Quante volte ci capita di guardare un film in cui il cattivo agisce in modo spietato? Dietro al suo comportamento, si nasconde in realtà un passato triste e sofferente. Questo, come nella vita di tutti i giorni, molte persone agiscono in modo istintivo, spinti da una debolezza interiore.
Quando ferire serve a riprendersi il controllo: perché lo facciamo di continuo
In psicologia questo fenomeno viene talvolta interpretato come una forma di proiezione o di spostamento. L’individuo, sopraffatto da emozioni che non sa gestire, cerca una via per alleggerirsi. E una delle vie più rapide, anche se meno sane, è quella di riversare fuori ciò che brucia dentro. Ferire diventa allora un modo per riprendere il controllo, per sentirsi nuovamente attivi, padroni della scena. Ma perché questo comportamento si attiva proprio con le persone che ci sono più vicine? Perché proprio con loro, che dovrebbero ricevere la parte più generosa di noi, spesso siamo taglienti, duri, impietosi? La risposta sta nella sicurezza emotiva che ci offrono. Inconsciamente, sappiamo che quelle relazioni reggono anche quando vengono messe alla prova. E' proprio vero, riusciamo ad essere noi stessi proprio con le persone che ci capiscono e ci vivono a trecentosessanta gradi. Queste, si prendono inevitabilmente, il buono ma soprattutto la parte più debole e complessa del nostro carattere.

Alcune persone, dopo aver provato questa dinamica, iniziano ad affidarsi a esse con una sorta di dipendenza emotiva. Capiscono che provocare un certo tipo di reazione nell’altro, rabbia, tristezza, senso di colpa, permette loro di sentirsi meglio. È qui che il paradosso diventa evidente. L’empatia viene messa in pausa. L’effetto sul prossimo viene percepito, ma ignorato. Tuttavia, non tutte le ferite inflitte nascono dal bisogno di sentirsi meglio. In alcuni casi si tratta di difese attivate per proteggere un confine, per dire “basta” quando non si ha il coraggio di farlo in modo diretto. In ogni caso, resta il fatto che ferire qualcuno non porta mai un sollievo duraturo. Può funzionare nell’immediato, ma poi lascia spazio ai sensi di colpa. Per questo, riconoscere il momento in cui stiamo per ferire qualcuno e chiederci “perché lo sto facendo?” può cambiare tutto.
Perché feriamo le persone che amiamo: lo studio condotto da James Coan
Lo studio di James Coan dell’Università della Virginia offre uno sguardo affascinante su come il nostro cervello percepisce le persone a cui siamo legati emotivamente. Secondo le sue ricerche nell’ambito delle neuroscienze sociali e della regolazione delle emozioni, tendiamo a considerare le persone care come un’estensione di noi stessi, e questo influenza profondamente il nostro modo di reagire, sia a livello emotivo che comportamentale. Coan ha osservato che il cervello, quando una persona cara si trova in pericolo, attiva le stesse aree coinvolte nella risposta alla minaccia personale. I comportamenti negativi che, a volte, riserviamo proprio a chi amiamo di più, potrebbero essere letti come un tentativo del nostro sistema nervoso di proteggersi. In momenti di stress o disagio, potremmo inconsciamente “escludere” l’altro dalla nostra identità per ridurre il senso di vulnerabilità. Questa sovrapposizione tra il sé e gli altri può portarci a mettere in atto comportamenti protettivi nei confronti delle persone amate. Tuttavia, può anche scatenare reazioni più dure, come forme di aggressività o allontanamento, in risposta a situazioni percepite come minacciose. È un modo che il cervello usa per difendersi, come se stesse cercando di ristabilire dei confini emotivi.