L’Agenzia delle Entrate fa chiarezza sui limiti, oltre cui i figli con partita Iva non possono più essere considerati fiscalmente a carico dei genitori. Ecco tutti i dettagli.
Nel sistema fiscale italiano, la figura del figlio fiscalmente a carico consente ai genitori di ottenere benefici economici legati al mantenimento dei figli non autosufficienti. La residenza, la convivenza o il tipo di lavoro svolto non influiscono sul riconoscimento di questo status, che può riguardare figli naturali, adottivi o affiliati. Il principio alla base della norma è quello di alleggerire il carico fiscale per le famiglie che si fanno carico del sostentamento dei figli, soprattutto in un periodo della vita in cui questi non hanno ancora raggiunto l’autonomia economica. Oltre al riconoscimento morale, il vantaggio è concreto: i genitori possono usufruire di detrazioni IRPEF, variabili in base al reddito familiare, al numero dei figli, alla loro età e all’eventuale presenza di disabilità.
Tra i benefici aggiuntivi si trovano anche agevolazioni per spese scolastiche, sanitarie e sportive, oltre alla possibilità di accesso a fringe benefits aziendali subordinati alla condizione di figlio a carico. La perdita di tale status si verifica al superamento dei limiti di reddito stabiliti o con il raggiungimento di età che, secondo legge, esclude le detrazioni. Non esiste distinzione, ai fini fiscali, tra un figlio con lavoro dipendente e uno con partita IVA: ciò che conta è il reddito complessivo lordo. Anche chi adotta il regime forfettario rientra, naturalmente, nel calcolo del limite. Infine, è utile specificare che le detrazioni possono essere suddivise tra i genitori, oppure attribuite interamente a uno solo, in base alla possibilità di usufruirne.
Figli con partita Iva: ecco fino a quanto possono fatturare per essere ancora considerati a carico
Abbiamo chiarito, dunque, che non rileva la tipologia di lavoro svolto dal figlio, sia esso dipendente o autonomo con partita IVA: ciò che conta, ai fini fiscali, è il reddito complessivo percepito, e cioè quanto si guadagna o fattura in un anno. Ma fino a quale importo si può guadagnare senza perdere lo status di fiscalmente a carico? L’Agenzia delle Entrate ha risposto a questo quesito, posto da una contribuente con una figlia specializzanda in medicina, titolare di partita IVA, che nel 2024 ha percepito circa 200 euro per alcune sostituzioni. Attraverso la “Posta di FiscoOggi“, l’Agenzia ha precisato che, secondo quanto previsto dall’articolo 12 del TUIR – Testo unico delle imposte sui redditi, come modificato dalla legge n. 207 del 2024, possono essere considerati a carico i figli con reddito complessivo lordo non superiore a 2.840,51 euro, fino al compimento del 30° anno di età.
Tuttavia, per i figli che non superano i 24 anni, la soglia massima è elevata a 4.000 euro annui, sempre al lordo degli oneri deducibili. È importante sottolineare che per accedere a questa soglia agevolata non è necessario che il figlio resti sotto i 24 anni per tutto l’anno. Basta infatti che abbia avuto meno di 25 anni anche solo per una parte del periodo d’imposta, poiché si applica il principio di unitarietà dell’anno fiscale. Nel caso della figlia specializzanda, dunque, il reddito percepito – pari a circa 200 euro – resta ampiamente sotto la soglia prevista dalla legge, purché quest’ultima abbia un’età non superiore ai 30 anni.