C’è un piccolo gesto, spesso trascurato, che dice molto più di quanto immaginiamo: scegliere di ordinare per ultimi al ristorante. Questo mette in luce molto della personalità di una persona.
Hai mai notato chi, tra amici o colleghi, è l’ultimo a ordinare al ristorante? Magari sei proprio tu. E forse non ci hai mai pensato davvero, ma quel semplice gesto, nasconde molto più di quanto sembri. Secondo un’analisi dettagliata della sociologa Anneri Ittaciccone, questa abitudine può rivelare aspetti sorprendenti della nostra personalità e del modo in cui ci relazioniamo con gli altri. Contrariamente a quanto si possa pensare, chi ordina per ultimo non è necessariamente timido, insicuro o eternamente indeciso.
Potrebbe anzi trattarsi di una figura strategica, un “osservatore” che preferisce aspettare per capire le dinamiche del tavolo e adattare la propria scelta. Come in una partita a scacchi, osservare le mosse degli altri permette di evitare errori e di scegliere con maggiore consapevolezza. Secondo Ittaciccone, ordinare per ultimi può essere un modo per esercitare controllo sul momento dell’ordine: si evita di mostrare fretta, si prendono le misure del gruppo e si comunica con i camerieri con sicurezza. È un piccolo atto di leadership silenziosa, una “disciplina militare”, come la definisce l’autrice, che consente di dominare la situazione senza dare troppo nell’occhio.
Chi aspetta, comanda: il potere nascosto dell’ultimo a ordinare
Questa posizione ritardata non è priva di vantaggi pratici. Chi ordina con sicurezza e attenzione è meno soggetto a errori da parte del personale: una comanda data in modo deciso e conclusivo è più difficile da sbagliare. Al contrario, chi balbetta qualcosa con tono esitante o si affida passivamente al “prendo lo stesso” rischia di essere dimenticato, servito per ultimo, o peggio, con un piatto che non aveva davvero scelto. Ma c’è anche un livello più sottile. L’ultimo a ordinare può calibrare la propria scelta sul tono generale della tavolata: se tutti prendono piatti leggeri, potrà evitare l’imbarazzo di un brasato; se si avverte un certo spirito conviviale, potrà osare un vino in più. Aspettare, insomma, è anche un modo per leggere l’umore del gruppo e adattarsi. Etichetta, ruoli sociali e quella sensazione di esserci. C’è poi l’aspetto delle dinamiche sociali. Nelle situazioni più formali o tradizionali, l’ordine delle ordinazioni segue precise regole non scritte: spesso è la donna o la persona di maggiore rango sociale a parlare per prima. In quei casi, ordinare per ultimi può rappresentare una posizione defilata, meno visibile ma anche meno esposta.
Per qualcuno, è un sollievo. Per altri, è una scusa per ritagliarsi uno spazio di riflessione e sottrarsi alla pressione. Ma è anche vero che chi si posiziona sempre in fondo rischia di vivere un senso di esclusione. Restare in attesa può significare rinunciare a esprimere con prontezza i propri gusti, i propri desideri. Allo stesso tempo, in una società dove “chi prima arriva meglio alloggia” è quasi una regola, chi sa attendere con strategia si distingue. Non è remissività, ma un modo di stare al mondo. Una forma di presenza silenziosa, che sceglie quando agire e come farsi ascoltare. Quindi la prossima volta che ti trovi davanti a un menù, fermati un attimo a osservare. Chiediti: sto davvero aspettando perché non so cosa voglio? O sto osservando, ascoltando, aspettando il momento giusto per farmi valere?