Come mai alcune persone non amano farsi fotografare? Ecco la spiegazione della psicologia

Non tutti si sentono a proprio agio davanti a una macchina fotografica. C’è chi si ritrae, chi distoglie lo sguardo, chi evita del tutto di farsi immortalare.

Questo comportamento, spesso liquidato come semplice timidezza, ha invece radici più profonde nella psicologia. La riluttanza a farsi fotografare non è solo una questione estetica: è un mix complesso di emozioni, percezioni e dinamiche inconsce. Una delle spiegazioni più interessanti arriva dal concetto di “familiarity complex”, collegato al mere-exposure effect descritto dallo psicologo Robert Zajonc. In parole semplici, siamo portati a preferire ciò che ci è familiare. Il volto che vediamo ogni giorno allo specchio è, per il nostro cervello, la versione “giusta” di noi stessi. Quando invece ci osserviamo in una fotografia, notiamo una versione speculare diversa, che può risultarci estranea o addirittura sgradevole. Questo piccolo “scarto” tra percezione interna e immagine esterna può generare disagio e rifiuto.

Il giudizio degli altri e il nostro

Molte persone provano imbarazzo perché, nel momento dello scatto, si sentono osservate. È qui che entra in gioco la self-consciousness, ovvero la consapevolezza del proprio aspetto e del modo in cui si viene percepiti. Secondo vari studi, tra cui quelli della psicologa Pamela Rutledge, chi è molto autocritico tende a vivere la fotografia come una prova da superare, non come un momento naturale da condividere. Questo meccanismo si intreccia con un altro elemento chiave: la paura del giudizio. Temiamo che l’immagine non renda giustizia a chi siamo, che evidenzi difetti, che gli altri notino qualcosa che noi vorremmo nascondere. Non è solo vanità: è una forma di difesa, una barriera che alziamo per proteggerci da possibili critiche o rifiuti.

Un altro aspetto rilevante è il cosiddetto negativity bias, teorizzato dal neuropsicologo Rick Hanson. Il cervello umano è programmato per dare più peso alle esperienze negative rispetto a quelle positive. Di conseguenza, anche in una fotografia oggettivamente bella, la nostra attenzione finirà per concentrarsi su una ruga, uno sguardo sfuggente, una postura scomposta. In questo modo, un singolo dettaglio sgradito può rovinare l’intera esperienza.

Accettare la propria immagine

Fortunatamente, non si tratta di un destino scritto nella pietra. Il disagio verso le fotografie può essere attenuato e persino superato. Una delle chiavi, come sottolinea ancora Pamela Rutledge, sta nell’esposizione graduale alla propria immagine. Più ci vediamo in foto, più impariamo a riconoscerci anche in quella versione, abbandonando la rigidità dello specchio. Anche la mindfulness può giocare un ruolo importante. Imparare a stare nel momento presente, senza giudicare se stessi con durezza, aiuta a vivere lo scatto con più naturalezza. Allo stesso modo, l’autoaccettazione – intesa come capacità di accogliere anche le imperfezioni – può fare la differenza nel modo in cui ci vediamo e ci lasciamo vedere.

Il neuroscienziato Matt Johnson sottolinea che l’immagine fotografica è solo una delle tante rappresentazioni di noi stessi, non l’unica né la definitiva. Accettare questo fatto può liberarci da un peso inutile. Soprattutto in un mondo in cui le immagini sono ovunque e spesso alterate, tornare a un rapporto sereno con la propria immagine può essere un atto di grande consapevolezza.

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Chi è molto autocritico tende a vivere la fotografia come una prova da superare, non come un momento naturale da condividere.

In conclusione, chi non ama farsi fotografare non è necessariamente insicuro o vanitoso. Spesso si tratta di meccanismi psicologici profondi, legati alla percezione di sé, alla paura del giudizio e alla nostra abitudine a un’immagine riflessa che non coincide con quella fotografica. Comprenderli, e magari lavorarci su, può essere un primo passo per fare pace con lo sguardo della fotocamera.

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