A volte, osserviamo persone che ripetono sempre gli stessi errori, come se nulla fosse successo.
Non è solo una questione di distrazione o superficialità: la psicologia ha indagato a fondo questo fenomeno, e le risposte sono molto più complesse di quanto immaginiamo. Alcuni studi, come quello della George Mason University, hanno dimostrato che chi non prova senso di colpa o vergogna dopo uno sbaglio è meno incline a imparare da esso. È come se la mente si proteggesse da emozioni spiacevoli, negando la propria responsabilità e attribuendo la colpa ad altri fattori. In assenza di riflessione e consapevolezza, l’errore non diventa mai un punto di partenza per un cambiamento reale.
Ci sono anche fattori biologici che influiscono su questo meccanismo. I neuroscienziati Tilmann Klein e Markus Ullsperger, del Max Planck Institute, hanno scoperto una correlazione tra la mutazione A1 (che riduce i recettori dopaminergici D2) e la difficoltà di apprendere dagli errori. La dopamina gioca un ruolo cruciale nella motivazione e nel riconoscimento delle ricompense, due elementi fondamentali per modificare il comportamento dopo uno sbaglio. Se il circuito della dopamina funziona male, anche l’autocorrezione risulta compromessa.
Credenze personali e ostacoli mentali
Non è solo una questione di emozioni o genetica. Anche il modo in cui percepiamo noi stessi gioca un ruolo decisivo. Il neuroscienziato Jason Moser ha dimostrato che il cervello si attiva automaticamente quando facciamo un errore. Tuttavia, chi ha scarsa fiducia nelle proprie capacità fatica a sfruttare questa attivazione cerebrale. Il risultato? Gli stessi errori si ripetono, alimentati da una sorta di rassegnazione. Martin Seligman, uno dei padri della psicologia positiva, parla di mentalità di crescita: chi non crede di poter migliorare, tende a evitare il confronto con i propri limiti. Questo atteggiamento impedisce di trasformare gli sbagli in occasioni di apprendimento. Il rischio è rimanere prigionieri di schemi mentali rigidi, in cui ogni errore viene vissuto come una minaccia, e non come un’opportunità.
Anche i bias cognitivi entrano in gioco. Secondo uno studio dell’Ohio State University, alcune persone attivano pensieri autoprotettivi per ridurre il disagio. Frasi come “non è stata colpa mia” o “non potevo fare altrimenti” permettono di salvare l’autostima, ma allo stesso tempo bloccano qualsiasi cambiamento. In pratica, la mente costruisce una narrazione alternativa per proteggersi, sacrificando però la possibilità di evolversi.
Il cervello può imparare: ma non sempre lo fa
La neuroscienza ci ricorda che il cervello è plastico: ogni errore potrebbe generare nuove connessioni neurali, aiutandoci a non ripeterlo. La Johns Hopkins University ha mostrato come l’apprendimento dagli sbagli stimoli la neuroplasticità, ma solo se non viene ostacolato dalla paura, dallo stress o da emozioni negative troppo intense. Marcella Mauro, esperta in neuroscienze cliniche, sottolinea l’importanza dell’amigdala, l’area cerebrale coinvolta nell’elaborazione delle emozioni. Se un errore genera una reazione emotiva troppo forte, il cervello potrebbe evitare volontariamente di affrontarlo, pur di non rivivere quel disagio. In questi casi, imparare diventa quasi impossibile.
Per superare questi blocchi, serve consapevolezza e supporto psicologico. Donald Norman ha parlato degli “action slips”, ossia quegli errori che si ripetono perché radicati in abitudini o schemi mentali automatici. Solo un’analisi cosciente delle proprie azioni può aiutare a disinnescarli. La psicoterapia offre un contesto protetto in cui esplorare il significato degli errori. Non si tratta solo di analizzare il passato, ma di costruire strategie concrete per affrontare situazioni simili in modo diverso. Attraverso questo lavoro, anche chi ha sempre ripetuto gli stessi sbagli può rompere il ciclo e iniziare a imparare davvero.
Ripetere gli errori non è una condanna, ma un segnale. Indica la presenza di ostacoli emotivi, cognitivi o neurologici che possono essere affrontati. Nessuno è immune agli sbagli, ma ciò che fa la differenza è la disponibilità a riconoscerli, analizzarli e usarli per crescere. Con l’approccio giusto, anche l’errore più frequente può trasformarsi in un potente alleato per il cambiamento.