Come funziona adesso il beneficio fiscale offerto dal rientro cervelli, a quanto ammonta il vantaggio fiscale e chi può usufruirne? Ecco tutte le novità, spiegate da un noto esperto.
Il regime fiscale del rientro dei cervelli è stato introdotto in Italia per incentivare il ritorno di cittadini italiani e stranieri altamente qualificati che hanno lavorato all’estero. L’obiettivo è quello di rafforzare il capitale umano, favorendo lo sviluppo scientifico, tecnologico e produttivo del Paese. Si tratta, in sostanza, di una misura che cerca di compensare la fuga dei talenti, rendendo l’Italia più attrattiva per professionisti con competenze avanzate.
Fino al 2023, il regime era particolarmente generoso. Prevedeva una detassazione del 70%, estesa al 90% per chi si trasferiva nel Mezzogiorno, senza limiti di reddito e con requisiti di accesso piuttosto ampi. Bastavano due periodi fiscali di residenza all’estero e un impegno di soli due anni in Italia per accedere all’incentivo, applicabile a una vasta gamma di redditi, compresi quelli d’impresa. Adesso, le cose sono cambiate, e i vantaggi sono diminuiti, ma il regime fiscale resta molto vantaggioso.
Rientro cervelli: come funziona adesso e quali sono i vantaggi
A spiegare come funziona adesso il regime del rientro cervelli, è stato un noto esperto e commercialista, il dottor Massimiliano Allievi. In particolare, l’esperto ha spiegato che la norma è cambiata perché è risultato necessario combattere degli abusi, dato che diverse persone avevano approfittato dei vantaggi offerti, andando a vivere all’estero per pochissimo tempo, per poi tornare e avere la detassazione, anche del 90% del reddito.
La regola è, adesso, cambiata, ma si tratta comunque di un ottimo regime. L’esperto consiglia, in effetti, di approfittarne, a chi può farlo. In questo momento, la detassazione è del 50% (e del 60% con figli minori). Ciò significa, di fatto, che per il 50% o 60% del reddito non ci sono tasse da pagare, e queste vengono pagate solo sulla percentuale restante. Il periodo da passare all’estero si è, però, allungato: da due anni (o, per essere più precisi, da due periodi fiscali), adesso sono tre periodi fiscali minimi, o anche sei o sette periodi fiscali, se si continua a lavorare per lo stesso datore di lavoro, o lo stesso gruppo, per il quale si lavorava all’estero.
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Cosa cambia tra anno fiscale e anno solare
Abbiamo sottolineato ‘periodo fiscale‘ e non ‘anno solare‘, in quanto vi è una differenza tra questi due concetti. A differenza dell’anno solare, infatti, il periodo fiscale è il periodo in cui ricadono gli obblighi fiscali: collegato a quanto detto prima, dunque, ciò significa che possono usufruire di questo regime anche coloro che, in sei anni, hanno lavorato in maniera continuativa all’estero per ‘soli‘ sei mesi e un giorno per ciascun anno, e non per l’intera durata dell’anno. Una novità rilevante è, infine, l’introduzione di un tetto massimo: solo i redditi fino a 600.000 euro possono, infatti, beneficiare dell’agevolazione fiscale.