Perché Vogliamo Dire Tutto sui Social e Poi Ci Pentiamo? La Scienza del Post Remorse
Alzi la mano chi non ha mai pubblicato qualcosa sui social di impulso, magari dopo una giornata storta o un bicchiere di vino di troppo, per poi svegliarsi il mattino dopo con quel senso di disagio che ti fa venire voglia di cancellare tutto e trasferirti su un’isola deserta senza WiFi. Quel momento in cui rileggi quello che hai scritto e pensi “Ma chi me l’ha fatto fare?”. Benvenuti nel club del post remorse, un fenomeno psicologico che accomuna milioni di persone in tutto il mondo.
Il post remorse o rimpianto da post è quella sensazione di imbarazzo, vergogna o semplicemente disagio che proviamo dopo aver condiviso qualcosa di personale online. E la scienza ha molto da dire su questo argomento, perché dietro quel clic impulsivo su “Pubblica” c’è un intero universo di meccanismi psicologici, neurologici e sociali che vale la pena esplorare.
L’Impulso Irresistibile di Condividere: Cosa Dice il Nostro Cervello
Iniziamo dalle basi: perché sentiamo questo bisogno quasi fisico di condividere dettagli della nostra vita con centinaia o migliaia di persone? La risposta sta nel nostro cervello, più precisamente nel sistema di ricompensa dopaminergico.
Secondo uno studio condotto da Diana Tamir e Jason Mitchell presso la Harvard University nel 2012, parlare di noi stessi attiva le stesse aree cerebrali che si illuminano quando mangiamo cibo delizioso o riceviamo denaro. In pratica, il nostro cervello considera l’autorivelazione come una ricompensa intrinseca. I ricercatori hanno scoperto che i partecipanti erano persino disposti a rinunciare a denaro pur di poter parlare di sé stessi.
Ma c’è un altro elemento cruciale: i social media hanno potenziato questo meccanismo all’ennesima potenza. Ogni like, ogni commento, ogni condivisione rilascia una piccola dose di dopamina nel nostro cervello, creando un ciclo di rinforzo positivo che ci spinge a continuare a condividere. È letteralmente una forma di gratificazione immediata che il nostro cervello impara a desiderare.
Il Paradosso della Trasparenza Digitale
Ma se condividere ci fa stare così bene, perché poi ci pentiamo? Qui entra in gioco quello che gli psicologi chiamano il paradosso della privacy. Viviamo in un’epoca in cui siamo costantemente divisi tra il desiderio di connetterci autenticamente con gli altri e il bisogno di proteggere la nostra privacy e la nostra immagine pubblica.
Il problema è che quando pubblichiamo qualcosa online, lo facciamo spesso in uno stato emotivo particolare. Gli psicologi parlano di hot state e cold state, stati caldi e freddi. Quando siamo arrabbiati, tristi, euforici o sotto l’influenza di alcol, siamo in uno stato caldo dove le nostre capacità di giudizio sono compromesse e tendiamo a sottovalutare le conseguenze future delle nostre azioni.
È come se il nostro “sé futuro” fosse una persona completamente diversa dal nostro “sé presente”, e facciamo fatica a immaginare come ci sentiremo quando l’ondata emotiva sarà passata. Questo fenomeno è particolarmente evidente quando pubblichiamo qualcosa di molto personale di notte, solo per svegliarci il mattino dopo con quella sensazione di imbarazzo che conosciamo tutti.
Il Fenomeno del Collapsed Context
Uno dei concetti più illuminanti per capire il post remorse è quello che la ricercatrice danah boyd chiama collapsed context o contesto collassato. Sui social media, pubblichiamo per un’audience immaginaria che spesso non corrisponde alla realtà.
Magari scriviamo un post pensando ai nostri amici più stretti, dimenticando che tra i nostri follower ci sono anche colleghi di lavoro, parenti lontani, conoscenti occasionali e quell’ex che non abbiamo mai tolto dai contatti. Tutti questi pubblici diversi, che nella vita reale manterremmo separati, collassano in un’unica audience indistinta online.
Questo significa che un post che potrebbe essere perfettamente appropriato per un contesto diventa imbarazzante o problematico in un altro. E spesso ce ne rendiamo conto solo dopo aver pubblicato, quando è troppo tardi o quasi. È uno dei motivi principali per cui quel messaggio che sembrava spiritoso alle due di notte improvvisamente non sembra più una grande idea.
La Distorsione della Permanenza Digitale
Un altro fattore psicologico cruciale è la nostra difficoltà nel comprendere veramente la permanenza di ciò che pubblichiamo online. Anche se razionalmente sappiamo che internet non dimentica, emotivamente tendiamo a trattare i post sui social come conversazioni effimere, simili a una chiacchierata al bar.
Gli psicologi cognitivi hanno dimostrato che il nostro cervello, evolutosi in ambienti dove le comunicazioni erano principalmente orali e temporanee, fatica a processare adeguatamente la natura permanente e replicabile dei contenuti digitali. È quello che viene chiamato present bias o bias del presente: sovrastimiamo il valore del momento presente e sottostimiamo le conseguenze future.
Questa disconnessione tra la percezione emotiva e la realtà digitale è una delle cause principali del post remorse. Pubblichiamo come se stessimo parlando con un amico al telefono, ma in realtà stiamo lasciando una traccia permanente accessibile a centinaia di persone.
I Diversi Tipi di Pentimento Digitale
Non tutti i pentimenti digitali sono uguali. La ricerca ha identificato almeno tre categorie principali di post remorse:
- Il Rimpianto da Sovracondivisione Emotiva: Questo accade quando condividiamo troppi dettagli su relazioni, rotture, problemi personali o sfoghi emotivi. È il classico caso del post scritto in un momento di rabbia o tristezza che il giorno dopo ci sembra eccessivo.
- Il Rimpianto da Autopromozione Eccessiva: Quando ci rendiamo conto di aver esagerato nel parlare dei nostri successi, risultando saccenti o insensibili. Questo tipo di rimpianto è particolarmente comune quando realizziamo di aver postato qualcosa di inappropriato rispetto al momento storico o sociale.
Ogni tipo di rimpianto ha le sue caratteristiche specifiche e spesso riflette diversi aspetti della nostra personalità e dei nostri valori. La sovracondivisione emotiva, per esempio, spesso deriva dal nostro bisogno di supporto sociale, mentre l’autopromozione eccessiva può nascere dall’insicurezza mascherata da sicurezza.
Il Ruolo dell’Alcol e della Stanchezza
Non possiamo parlare di post remorse senza menzionare il fenomeno del drunk-posting o pubblicazione in stato di ebbrezza. L’alcol riduce significativamente la nostra capacità di valutare le conseguenze sociali delle nostre azioni online, proprio come fa nella vita reale. L’alcol riduce la percezione del rischio e la capacità di controllo anche nella comunicazione digitale.
Ma non è solo l’alcol il problema. Anche la stanchezza gioca un ruolo cruciale. La deprivazione di sonno compromette le funzioni esecutive del cervello, inclusa la capacità di autoregolazione e di valutazione del rischio sociale. Quel post delle due di notte che sembrava brillante sul momento? Probabilmente era solo il tuo cervello stanco che parlava.
La combinazione di stanchezza e social media è particolarmente pericolosa perché tendiamo a essere più emotivi e meno razionali nelle ore serali, proprio quando molti di noi passano del tempo sui social prima di andare a dormire.
La Differenza Generazionale nel Pentimento Social
È interessante notare come il post remorse si manifesti diversamente tra le generazioni. I Millennial e la Gen Z, cresciuti con i social media, tendono ad avere un rapporto più consapevole anche se non necessariamente più sano con la condivisione online. Hanno sviluppato strategie come l’uso di account privati per condividere contenuti più autentici con cerchie ristrette, o l’abitudine di pubblicare stories che spariscono dopo 24 ore invece di post permanenti.
Le generazioni più anziane, invece, tendono a sperimentare forme più intense di post remorse perché spesso non hanno gli stessi filtri interni sviluppati attraverso anni di esposizione ai social media. Non è raro vedere genitori o zii che condividono informazioni che i più giovani considererebbero troppo personali o inappropriate.
Tuttavia, ogni generazione ha i suoi punti ciechi. I più giovani potrebbero essere più navigati nelle dinamiche social, ma spesso sottovalutano le implicazioni a lungo termine delle loro azioni digitali, pensando che tutto sia temporaneo e reversibile.
L’Effetto Spotlight e l’Ansia Sociale Digitale
Parte del disagio che proviamo dopo aver pubblicato qualcosa deriva da quello che gli psicologi chiamano effetto spotlight, la tendenza a credere che gli altri ci prestino molta più attenzione di quanto non facciano realmente. Pensiamo che tutti abbiano visto, letto, analizzato e giudicato il nostro post, quando in realtà la maggior parte delle persone scorre velocemente il feed e dimentica quasi immediatamente ciò che ha visto.
Questo significa che spesso il nostro post remorse è più intenso di quanto dovrebbe essere oggettivamente. Ci torturiamo per giorni pensando a come gli altri potrebbero aver interpretato le nostre parole, quando probabilmente la maggior parte di loro non le ha nemmeno notate o ricordate.
L’ansia sociale digitale è amplificata dal fatto che online non abbiamo accesso ai segnali non verbali che normalmente ci aiutano a capire come stiamo venendo percepiti. Questa incertezza alimenta la nostra tendenza a immaginare scenari peggiori di quanto siano in realtà.
Come Gestire e Prevenire il Post Remorse
La buona notizia è che possiamo sviluppare strategie per ridurre la frequenza e l’intensità del post remorse. Gli psicologi specializzati in benessere digitale suggeriscono diversi approcci pratici che possono fare la differenza.
La regola delle 24 ore è una delle più efficaci: per contenuti particolarmente personali o emotivi, salva la bozza e rileggila il giorno dopo prima di pubblicare. Il tuo sé futuro ti ringrazierà. Questa semplice pausa permette di passare da uno stato emotivo “caldo” a uno “freddo”, dove le nostre capacità di giudizio sono più affidabili.
Un’altra strategia utile è la visualizzazione dell’audience: prima di pubblicare, pensa concretamente alle persone specifiche che leggeranno il post. Non alla massa amorfa dei tuoi follower, ma a individui specifici. Come reagirebbe il tuo capo? E tua madre? E quell’amico che rispetti particolarmente? Questo aiuta a superare il problema del collapsed context.
Considera anche l’uso di un diario privato digitale o di note private per elaborare emozioni intense prima di decidere cosa, se qualcosa, condividere pubblicamente. Spesso il bisogno di condividere diminuisce notevolmente dopo aver semplicemente messo i pensieri per iscritto, anche se solo per noi stessi.
Il Lato Positivo del Pentimento Digitale
Sorprendentemente, il post remorse non è solo negativo. Questa forma di disagio è in realtà un segnale importante che il nostro radar sociale sta funzionando. Ci indica che stiamo imparando i confini appropriati della condivisione online e che siamo capaci di riflettere criticamente sulle nostre azioni.
In un certo senso, il post remorse è una forma di crescita personale accelerata. Ogni episodio ci insegna qualcosa su noi stessi, sui nostri valori e su come vogliamo presentarci al mondo. È un feedback loop che, se ascoltato, può renderci comunicatori digitali più consapevoli e maturi.
Inoltre, sperimentare il post remorse ci rende più empatici verso gli errori digitali degli altri. Chi non ha mai pubblicato qualcosa di cui si è pentito è più propenso a giudicare duramente le scivolate altrui sui social. Chi invece ha vissuto quella sensazione di disagio post-pubblicazione tende a essere più comprensivo e meno rapido nel condannare.
Il post remorse è, fondamentalmente, una conseguenza inevitabile dell’essere umani nell’era digitale. Siamo creature sociali che usano strumenti progettati per massimizzare l’engagement, spesso a scapito del nostro benessere psicologico a lungo termine. La chiave non è necessariamente smettere di condividere – dopotutto la condivisione autentica è uno dei grandi vantaggi dei social media – ma diventare più consapevoli dei meccanismi psicologici in gioco. E se ogni tanto pubblichiamo qualcosa di cui ci pentiamo? Fa parte del pacchetto dell’essere umani. L’importante è imparare dall’esperienza, essere gentili con noi stessi, e magari pensarci due volte prima di premere “Pubblica” alle due di notte dopo quella terza birra.