Doomscrolling: Perché Non Riusciamo a Staccarci dalle Cattive Notizie Online
Sono le undici di sera. Domani mattina sveglia presto, lo sai bene. Eppure eccoti lì, nel letto, con lo smartphone in mano che scorre, scorre, scorre. Una notizia su un disastro ambientale. Swipe. Un thread infinito su una crisi politica. Swipe. Un video su qualche tragedia dall’altra parte del mondo. Swipe, swipe, swipe. Il cervello ti urla di smettere, gli occhi bruciano, ma le dita continuano imperterrite nella loro danza ipnotica sullo schermo. Benvenuto nel club del doomscrolling, una delle tendenze compulsive più diffuse e sottovalutate dell’era digitale.
Ma cos’è esattamente questo fenomeno che sta conquistando l’Italia e il mondo? E soprattutto, perché diavolo il nostro cervello sembra programmato per autodistruggersi in questo modo?
Quando lo Scroll Diventa un Tunnel Senza Uscita
Il termine doomscrolling è entrato ufficialmente nel dizionario durante la pandemia, quando tutti noi abbiamo vissuto l’esperienza collettiva di controllare ossessivamente ogni aggiornamento sul COVID-19. La parola combina doom (catastrofe, destino infausto) e scrolling (scorrere), descrivendo perfettamente quella compulsione a consumare quantità eccessive di notizie negative online, anche quando ci fanno sentire malissimo.
Secondo ricerche recenti, più del 50% dei giovani italiani tra i 18 e i 29 anni ammette di dedicarsi regolarmente al doomscrolling. Il dato più preoccupante? Tra il 2019 e il 2023, il livello di ansia connesso a questo comportamento è triplicato. L’impatto psicologico include stress, insonnia, irritabilità e peggioramento delle relazioni sociali.
Non stiamo parlando di semplice informazione. Stiamo parlando di ore, letteralmente ore, passate a scorrere feed infiniti di contenuti che ci fanno sentire ansiosi, impotenti e depressi. E la parte più assurda? Sappiamo benissimo che ci sta facendo male, ma non riusciamo a fermarci.
Il Cervello Preistorico nell’Era Digitale
Per capire perché siamo così attratti dalle cattive notizie, dobbiamo fare un salto indietro di qualche millennio. Il nostro cervello, fondamentalmente, funziona ancora come quello dei nostri antenati cacciatori-raccoglitori. E per loro, prestare attenzione alle minacce era letteralmente una questione di vita o di morte.
Gli psicologi chiamano questo fenomeno bias di negatività. Il nostro cervello è cablato per dare più peso alle informazioni negative rispetto a quelle positive. Il neuroscienziato John Cacioppo dell’Università di Chicago ha dimostrato che il cervello reagisce più intensamente agli stimoli negativi che a quelli positivi o neutri, utilizzando più risorse cognitive per elaborarli.
In pratica, se il nostro antenato preistorico ignorava la notizia che c’è un bel tramonto non succedeva nulla di grave. Ma se ignorava il segnale c’è un leone dietro quel cespuglio, beh, era game over. La selezione naturale ha favorito chi prestava più attenzione alle minacce, e noi siamo i discendenti di quei paranoici sopravvissuti.
Il problema? Nel 2024 non ci sono più leoni dietro i cespugli, ma il nostro cervello primitivo non lo sa. Così trasforma ogni notifica, ogni breaking news, ogni aggiornamento allarmante in una potenziale minaccia da monitorare. E i social media, con i loro algoritmi perfezionati per catturare la nostra attenzione, lo sanno benissimo.
L’Algoritmo che Ti Vuole Ansioso
Qui le cose si fanno interessanti e un po’ inquietanti. Le piattaforme social non sono progettate per il nostro benessere, ma per massimizzare il tempo di permanenza, quanto tempo passiamo incollati allo schermo. E indovina quale tipo di contenuto genera più engagement? Esatto, quello che ci fa arrabbiare, spaventare o indignare.
Una ricerca pubblicata su Nature Communications nel 2021 ha analizzato oltre 560 milioni di tweet e ha scoperto che i contenuti che generano emozioni negative, rabbia in particolare, vengono condivisi molto più frequentemente di quelli positivi o neutri. Ogni parola emotivamente carica in senso negativo in un tweet aumenta le probabilità di retweet del 20%.
Gli algoritmi imparano rapidamente cosa ti tiene incollato allo schermo e te ne servono sempre di più. È un circolo vizioso perfetto: clicchi su una notizia allarmante, l’algoritmo registra il tuo interesse, ti propone contenuti simili, tu clicchi ancora, e via così in una spirale discendente verso l’ansia collettiva.
E c’è di più. Questi algoritmi sfruttano anche quello che gli psicologi comportamentali chiamano rinforzo intermittente, lo stesso meccanismo che rende le slot machine così tremendamente efficaci. Non ogni scroll ti dà qualcosa di interessante, ma ogni tanto sì, e questo pattern imprevedibile di ricompensa mantiene il comportamento molto più efficacemente di una ricompensa costante.
Il Cocktail Chimico della Dipendenza Digitale
Quando pratichiamo doomscrolling, nel nostro cervello succede una vera e propria festa chimica, anche se non del tipo divertente. Ogni volta che scorriamo e troviamo un’informazione importante, anche se negativa, il cervello rilascia piccole dosi di dopamina, il neurotrasmettitore della ricompensa.
Ma c’è un tranello. La dopamina non è esattamente il neurotrasmettitore della felicità come spesso viene descritto. È più il neurotrasmettitore della ricerca. La dopamina ci spinge a cercare, esplorare, trovare informazioni potenzialmente utili. Il problema è che il sistema dopaminergico si attiva con la ricerca stessa, non necessariamente con il trovare qualcosa di positivo.
Contemporaneamente, l’esposizione costante a notizie negative è correlata a un aumento del cortisolo, l’ormone dello stress. L’esposizione ripetuta a contenuti ansiogeni può favorire lo sviluppo di disturbi ansiosi e depressivi, creando un circolo vizioso difficile da spezzare.
Il risultato? Ci sentiamo compulsivamente spinti a continuare a scrollare grazie alla dopamina mentre simultaneamente ci sentiamo sempre più ansiosi e stressati per il cortisolo. È come essere intrappolati tra l’acceleratore e il freno della nostra stessa chimica cerebrale.
Gli Effetti Collaterali che Non Vedi
Se pensavi che il doomscrolling fosse solo una cattiva abitudine innocua, preparati a ricrederti. Gli effetti sulla salute mentale e fisica sono documentati e tutt’altro che trascurabili.
Ricerche condotte dall’American Psychological Association hanno confermato che il consumo compulsivo di notizie è associato a livelli elevati di stress e ansia, che interferiscono con il sonno e le relazioni personali di una parte significativa della popolazione.
In Italia, secondo indagini recenti, oltre il 40% dei giovani tra i 14 e i 19 anni ammette di controllare le notizie sui social prima di dormire. La maggioranza di questi riporta difficoltà nell’addormentamento e qualità del sonno compromessa, con ripercussioni evidenti sulla vita quotidiana.
Gli effetti vanno ben oltre l’ansia immediata. L’esposizione costante a contenuti negativi può portare a una sorta di affaticamento da compassione, dove diventiamo progressivamente meno capaci di rispondere emotivamente alle sofferenze altrui. Quando consumiamo prevalentemente notizie negative, sviluppiamo quello che gli psicologi chiamano mean world syndrome, la convinzione che il mondo sia molto più pericoloso e ostile di quanto non sia realmente.
L’overload informativo costante può portare a quella che lo psicologo Barry Schwartz chiama paralisi da analisi, dove troppe informazioni spesso contraddittorie ci rendono incapaci di prendere decisioni. Il tempo passato in doomscrolling è tempo sottratto alle interazioni reali, e l’umore negativo che ne deriva si riflette spesso nelle nostre relazioni personali.
Il Paradosso dell’Informazione
C’è un paradosso affascinante e crudele al centro del doomscrolling. Pensiamo che consumare più informazioni ci dia più controllo sulla situazione, ci tenga preparati per qualsiasi eventualità. In realtà, accade esattamente l’opposto.
Lo psicologo Daniel Wegner dell’Università di Harvard ha dimostrato attraverso i suoi studi sul controllo mentale che più cerchiamo di controllare i nostri pensieri e le nostre preoccupazioni attraverso il monitoraggio ossessivo, più queste diventano intrusive. È quello che viene chiamato effetto rimbalzo o ironic process theory.
Applicato al doomscrolling: più controlliamo compulsivamente le notizie per sentirci al sicuro e informati, più alimentiamo l’ansia e il senso di mancanza di controllo. Diventa un circolo vizioso dove l’azione che intraprendiamo per ridurre l’ansia finisce per amplificarla.
Come Spezzare le Catene Digitali
Vediamo come possiamo effettivamente liberarci da questa trappola digitale. E no, non devi necessariamente buttare lo smartphone nel Tevere.
La Tecnica del Time-Boxing Informativo
Invece di controllare le notizie quando capita, che tradotto significa costantemente, stabilisci finestre temporali specifiche dedicate all’informazione. Ad esempio, 15 minuti al mattino e 15 minuti nel pomeriggio. Usa un timer. Quando suona, chiudi tutto.
Uno studio pubblicato sul Journal of Social and Clinical Psychology nel 2018 ha dimostrato che limitare l’uso dei social media a 30 minuti al giorno per tre settimane ha portato a riduzioni significative di solitudine e depressione nei partecipanti.
Il Principio della Dieta Informativa Bilanciata
Per ogni notizia negativa che consumi, cerca attivamente una storia positiva o costruttiva. Non significa ignorare la realtà, ma bilanciare la prospettiva. Progetti di giornalismo costruttivo nei Paesi Bassi e in Danimarca hanno dimostrato che un approccio informativo orientato alle soluzioni riduce lo stress senza diminuire la consapevolezza sociale.
Strategie Pratiche per la Vita Quotidiana
Le notifiche push sono il cavallo di Troia del doomscrolling. Ogni ding, ogni vibrazione è un invito a ricadere nella spirale. Disattiva le notifiche delle app di news e social media. Decidi tu quando controllare, non lasciare che siano loro a decidere per te.
Prima di aprire un’app social o di news, fermati e fai tre respiri profondi. Chiediti: sto aprendo questa app per uno scopo specifico o per abitudine e noia? Se è il secondo caso, metti giù il telefono e fai qualcos’altro. Questa tecnica si basa sul principio della mindfulness e sulla creazione di uno spazio tra stimolo e risposta.
- Sostituire, non solo eliminare: Il cervello odia il vuoto. Se togli il doomscrolling senza sostituirlo con qualcosa, ricadrai nella vecchia abitudine. Identifica attività alternative per i momenti in cui di solito scrollavi: leggere un libro fisico, fare una breve passeggiata, chiamare un amico, praticare un hobby.
- La No-Phone Zone serale: Almeno un’ora prima di dormire, lo smartphone esce dalla camera da letto. La luce blu degli schermi interferisce con la produzione di melatonina, ma è il contenuto emotivamente attivante che fa davvero danni al tuo sonno.
Il Potere della Consapevolezza Digitale
La verità è che non possiamo e probabilmente non dovremmo disconnetterci completamente dal mondo digitale. La chiave non è l’astinenza totale, ma la consapevolezza. Quello che gli esperti chiamano digital mindfulness.
Significa essere presenti e intenzionali nel nostro uso della tecnologia, invece di operare in modalità pilota automatico. Significa chiederci regolarmente: questo uso del digitale mi sta servendo o mi sta usando?
La psicologa sociale Sherry Turkle del MIT, autrice di studi fondamentali sul nostro rapporto con la tecnologia, sostiene che il problema non è la tecnologia in sé, ma il modo in cui ci impedisce di stare con noi stessi, con il silenzio, con i nostri pensieri non mediati.
Il doomscrolling, in fondo, è spesso una fuga. Fuga dalla noia, dalla solitudine, dall’incertezza, da noi stessi. Ma come tutte le fughe, ci porta in luoghi ancora più scomodi di quelli da cui scappiamo.
Riprendere il Controllo della Tua Narrazione
Il doomscrolling non è solo una cattiva abitudine digitale. È il sintomo di qualcosa di più profondo: la sensazione di non avere controllo, di essere sopraffatti da un mondo che va troppo veloce, troppo forte, troppo tutto.
Ma ecco la buona notizia, finalmente una: hai più potere di quanto pensi. Ogni volta che scegli consapevolmente di chiudere un’app, di respirare invece di scrollare, di guardarti intorno nella tua vita reale invece che in quella virtuale, stai riprendendo il controllo.
Non sarà perfetto. Ricadrai nella vecchia abitudine. È normale, è umano. Ma ogni momento di consapevolezza è una vittoria. Ogni volta che scegli la presenza invece della distrazione digitale, stai riscrivendo i circuiti neurali del tuo cervello.
La neuroscienza ci insegna che il cervello è plastico, modificabile. Le abitudini possono essere disimparate e sostituite. Ci vuole tempo, secondo uno studio dell’University College London pubblicato su European Journal of Social Psychology servono in media 66 giorni per instaurare una nuova abitudine automatica, ma è assolutamente possibile.
Quindi, la prossima volta che ti trovi nel letto, con lo smartphone in mano, a scrollare l’ennesima sfilza di notizie catastrofiche, fermati un secondo. Respira. E chiediti: questa è davvero la vita che voglio vivere? O posso scegliere qualcosa di diverso? La risposta, per fortuna, è sempre nelle tue mani. E no, non serve che la cerchi scrollando.