Il tuo capo ti scrive su WhatsApp la domenica sera e tu rispondi subito? Psicologi spiegano perché dovresti smettere

Workaholic Made in Italy: Quando il Lavoro Diventa un Coinquilino Abusivo

Alzi la mano chi non ha mai risposto a una email di lavoro mentre era in coda alla cassa del supermercato. O chi non ha mai dato “solo una sbirciatina veloce” alle chat di lavoro durante la cena della domenica con la nonna. Se vi state nascondendo dietro il telefono in questo momento, probabilmente è arrivato il momento di fare i conti con una verità scomoda: potreste essere dei workaholic e non lo sapete nemmeno.

Ma aspettate, non stiamo parlando del classico maniaco del lavoro alla Gordon Gekko, quello che dorme in ufficio con la cravatta ancora annodata. No, stiamo parlando di una versione molto più subdola e tremendamente italiana del fenomeno: quella del lavoratore dipendente moderno che ha trasformato la propria vita in un eterno “sono sempre reperibile”.

Secondo un’indagine Eurofound del 2021, oltre il 30% dei lavoratori italiani riferisce difficoltà a disconnettersi mentalmente dal lavoro anche durante il tempo libero. Il fenomeno si è amplificato con la diffusione dello smart working durante la pandemia da COVID-19. Il problema? Molti di noi non si rendono nemmeno conto di essere finiti in questa spirale, perché l’abbiamo normalizzata talmente tanto che ci sembra normale.

Il Tuo Smartphone È Diventato Un’Estensione Del Tuo Corpo

Facciamo un piccolo esperimento mentale: quando è stata l’ultima volta che avete lasciato il telefono in un’altra stanza per più di un’ora? E quando è stata l’ultima volta che lo avete fatto senza provare una leggera ansia, come se aveste dimenticato un figlio all’autogrill?

Se la risposta è “non me lo ricordo”, benvenuti nel club. Il primo segnale inequivocabile di essere un workaholic nostrano è questa relazione morbosa con il dispositivo che contiene tutte le vostre chat di lavoro, email e notifiche varie ed eventuali.

La psicologa italiana Vera Slepoj ha evidenziato come la cultura italiana del lavoro stia vivendo una trasformazione preoccupante: dall’antica concezione del “posto fisso” siamo passati alla sindrome del “sempre connesso”, dove il confine tra vita privata e professionale è diventato più sfocato di una foto scattata in discoteca.

Il fenomeno ha anche un nome scientifico: technostress. Una ricerca dell’Università di Milano-Bicocca pubblicata nel 2021 ha rilevato che il 45% dei lavoratori italiani controlla le email di lavoro almeno una volta ogni ora durante il fine settimana. Una volta ogni ora! È come avere un capo virtuale che ti dà dei colpetti sulla spalla continuamente chiedendoti “tutto bene? sicuro sicuro?”

I sintomi tipici del workaholic digitale:

  • Controllare la posta prima ancora di andare in bagno la mattina
  • Tenere le notifiche delle app di lavoro sempre attive, anche il sabato sera
  • Provare un brivido di panico quando il telefone è scarico
  • Portare il caricabatterie ovunque come se fosse un inalatore salvavita

Le Tue Vacanze Hanno Sempre Un Asterisco

Ah, le vacanze italiane! Quel momento magico in cui finalmente stacchi, ti rilassi, visiti quel borgo medievale che volevi vedere da anni e… porti il laptop “giusto per sicurezza”.

Se negli ultimi tre anni avete portato il computer in vacanza “nel caso servisse qualcosa di urgente”, congratulazioni: siete ufficialmente nella fase avanzata del workaholism tricolore. E no, non conta se poi lo avete usato “solo un’oretta al giorno”.

Secondo il Rapporto sul benessere lavorativo e smart working ISTAT 2022, circa il 38% dei lavoratori italiani ha svolto attività lavorativa durante le ferie, anche quando non era strettamente necessario. Il dato più interessante? La maggior parte lo ha fatto non perché glielo avessero chiesto esplicitamente, ma per “senso di responsabilità” o “per non creare problemi”.

Questa è la versione italiana del workaholism: non è tanto l’ambizione sfrenata, quanto piuttosto un mix tossico di ansia da prestazione, paura di sembrare poco professionali e quella tipica mentalità del “se non lo faccio io chi lo fa?”

Gli psicologi del lavoro parlano di “sindrome del salvatore”, particolarmente diffusa nella cultura lavorativa italiana dove l’individualismo convive paradossalmente con un forte senso di responsabilità collettiva. Uno studio pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health nel 2020 ha documentato questa dinamica tipicamente italiana. In pratica: ci sentiamo indispensabili anche quando non lo siamo affatto.

WhatsApp È Diventato Il Tuo Peggior Nemico

Parliamoci chiaro: WhatsApp è stato una benedizione per la comunicazione, ma una maledizione assoluta per il work-life balance italiano. Se negli altri paesi europei le comunicazioni di lavoro seguono ancora canali più formali, in Italia abbiamo abbracciato WhatsApp con l’entusiasmo di chi ha scoperto il pane dopo anni di dieta senza carboidrati.

Il risultato? Gruppi WhatsApp aziendali che sembrano chat di famiglia durante le feste comandate: attivi 24 ore su 24, 7 giorni su 7, con messaggi che arrivano alle 23:00 di domenica come se fosse la cosa più normale del mondo.

Uno studio condotto dall’Università Cattolica di Milano nel 2021 ha rilevato che circa il 60% dei lavoratori italiani fa parte di almeno un gruppo WhatsApp legato al lavoro, e il 70% di questi ha ricevuto messaggi di lavoro al di fuori dell’orario lavorativo almeno una volta a settimana. Una volta a settimana? Provate una volta all’ora!

Il problema è che rispondere diventa quasi automatico. Vedi la notifica, senti il bisogno di controllare, leggi il messaggio e poi pensi “vabbè, ormai che l’ho letto rispondo subito”. E così, senza nemmeno accorgertene, sei tornato in modalità lavoro mentre stavi guardando Masterchef.

Segnali inequivocabili della dipendenza da chat di lavoro:

  • Conoscere a memoria gli orari in cui i colleghi sono più attivi su WhatsApp
  • Provare ansia quando vedi “3 messaggi non letti” nel gruppo di lavoro
  • Rispondere anche quando non è necessario, giusto per “far vedere che ci sei”
  • Aver silenziato il gruppo almeno dieci volte, per poi riattivare le notifiche “per sicurezza”

Il Multitasking È Il Tuo Superpotere (Ma È Una Bugia)

Eccoci arrivati al mito più pericoloso del lavoratore italiano moderno: l’idea che fare più cose contemporaneamente sia un segno di efficienza e non, come in realtà è, un biglietto di sola andata per l’esaurimento nervoso.

Quante volte vi siete vantati di riuscire a “seguire una riunione mentre finite una presentazione e controllate le email”? Spoiler alert: non state facendo un ottimo lavoro in nessuna di queste tre cose. State semplicemente dividendo malissimo la vostra attenzione.

Le neuroscienze sono piuttosto chiare su questo punto: il multitasking come lo intendiamo comunemente non esiste. Quello che facciamo è in realtà “task switching”, cioè saltare rapidamente da un’attività all’altra. E indovinate un po’? Ogni volta che saltiamo, il nostro cervello paga un “costo cognitivo”.

Una ricerca dell’Università di Padova pubblicata su Frontiers in Psychology nel 2020 evidenzia che il task switching può ridurre la produttività fino al 40% e aumentare significativamente i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress. In pratica: pensate di essere degli eroi del lavoro, ma in realtà state solo bruciando il vostro cervello come un motore diesel a cui hanno messo la benzina.

La cultura del multitasking in Italia è particolarmente radicata perché si intreccia con quella che gli antropologi chiamano “cultura della presenza”: l’idea che essere sempre visibili, sempre disponibili, sempre “sul pezzo” sia più importante della qualità effettiva del lavoro svolto.

Non Ricordi Più Cos’è Il “Dolce Far Niente”

Chiudiamo con il segnale forse più preoccupante, quello che dovrebbe far scattare tutti gli allarmi: quando è stata l’ultima volta che avete passato un pomeriggio intero senza fare assolutamente nulla di produttivo?

E attenzione, non vale “ho guardato Netflix mentre rispondevo alle email”. Parliamo di vero, autentico, glorioso ozio totale. Quella cosa che noi italiani eravamo famosi per fare meglio di chiunque altro al mondo, e che abbiamo dimenticato nel giro di una decina d’anni.

Il concetto di “dolce far niente” è stato praticamente rimosso dal vocabolario del lavoratore italiano contemporaneo, sostituito da una costante sensazione di dover essere sempre operativi, sempre connessi, sempre “on”.

Secondo i dati dell’Osservatorio sullo stress lavoro-correlato dell’INAIL del 2022, i casi di burnout tra i lavoratori italiani sono aumentati del 30% rispetto al periodo pre-pandemico. Il burnout è stato riconosciuto dalla Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2019 come un vero e proprio fenomeno occupazionale, caratterizzato da esaurimento emotivo, cinismo e ridotta efficacia professionale.

La psicoterapeuta Raffaella Bortolotti ha spiegato che la perdita della capacità di “staccare completamente” sia uno dei predittori più affidabili di futuri problemi di salute mentale legati al lavoro. Il nostro cervello ha bisogno di periodi di vera inattività per rigenerarsi, non di “relax attivo” fatto di serie TV guardate con un occhio alle notifiche.

E Adesso? La Via D’Uscita Esiste

Ok, dopo questo elenco deprimente, la domanda sorge spontanea: e adesso che faccio? La buona notizia è che riconoscere il problema è già metà della soluzione. La cattiva notizia è che l’altra metà richiede un cambio di mentalità che, in una cultura del lavoro come quella italiana, non è esattamente una passeggiata.

La chiave sta nel capire che essere un buon professionista non significa essere sempre disponibile. Significa essere efficace quando si lavora e completamente presente quando non si lavora. Il concetto di “produttività” dovrebbe essere misurato in risultati, non in ore passate davanti allo schermo o in velocità di risposta ai messaggi delle 23:00.

Alcuni passi pratici validati dalla ricerca scientifica? Iniziate a impostare dei confini chiari: orari in cui il telefono di lavoro è spento, giorni in cui non controllate le email, momenti in cui siete genuinamente “off limits”. All’inizio sembrerà strano, quasi sbagliato. Ma è esattamente quella sensazione di disagio che vi dice quanto ne avete bisogno.

Secondo gli studi sulla prevenzione del burnout, definire limiti netti tra lavoro e vita personale e pianificare periodi di disconnessione totale aiuta la salute psichica e migliora la qualità della vita lavorativa. Recuperare spazi di vera inattività non è un lusso, è una necessità per il benessere mentale.

E ricordate: il lavoro sarà sempre lì ad aspettarvi. Il lunedì arriva puntuale come le tasse. Ma la vostra salute mentale, quella si consuma un WhatsApp alle 2 di notte alla volta.

Forse è arrivato il momento di riscoprire quel “dolce far niente” di cui eravamo maestri. Il vostro cervello vi ringrazierà. E probabilmente anche i vostri cari, che magari vorrebbero cenare con voi senza competere con le notifiche di Slack.

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