L’amicizia tra una ragazzina e una creatura misteriosa è il cuore di The Legend of Ochi, un film fantasy da oggi al cinema.
Gestire la paura del diverso è una sfida che ha radici profonde nella psicologia evolutiva, ma che può essere affrontata attraverso consapevolezza, empatia e cambiamento culturale. Questa paura – nota anche come xenofobia o pregiudizio intergruppo – si manifesta quando percepiamo persone con caratteristiche, abitudini, culture o idee differenti dalle nostre come una minaccia, anche inconsciamente.
Dall’8 maggio è al cinema The Legend of Ochi, il debutto alla regia di Isaiah Saxon, prodotto da A24. Ambientato nell’isola immaginaria di Carpathia, il film segue la giovane Yuri (Helena Zengel), cresciuta in un villaggio dove le viene insegnato a temere le misteriose creature della foresta note come Ochi. Quando Yuri scopre un cucciolo di Ochi ferito, decide di intraprendere un viaggio per restituirlo alla sua famiglia, sfidando le paure inculcate dalla sua comunità.
La paura del diverso
Il film esplora temi profondi come la paura del diverso e il superamento dei pregiudizi. Attraverso la relazione tra Yuri e il cucciolo di Ochi, la narrazione mostra come l’empatia e la comprensione possano abbattere le barriere della diffidenza e dell’ignoranza. L’uso di effetti pratici, come pupazzi animatronici e scenografie reali, conferisce al film un’estetica tangibile e nostalgica, richiamando classici come E.T. e Il mio vicino Totoro.
The Legend of Ochi si distingue per la sua capacità di affrontare tematiche universali attraverso una narrazione fiabesca e visivamente coinvolgente. È un invito a guardare oltre le apparenze e a riconoscere l’umanità nell’altro, anche quando si presenta sotto forme sconosciute. Secondo la psicologia sociale, la paura del diverso nasce da meccanismi evolutivi antichi: per migliaia di anni, l’essere umano ha vissuto in piccoli gruppi chiusi, dove “l’altro” rappresentava un possibile pericolo. Questo ha portato allo sviluppo di bias cognitivi (scorciatoie mentali), come:
Il bias dell’ingroup/outgroup: tendiamo a fidarci del nostro “gruppo” (lingua, religione, etnia, ideologia) e a diffidare degli “altri”.
L’effetto dell’omogeneità dell’outgroup: vediamo gli altri gruppi come tutti uguali tra loro, perdendo la capacità di cogliere le differenze individuali.
Il pregiudizio implicito: anche chi si considera aperto può avere reazioni automatiche di diffidenza verso chi è percepito come “altro”.
La paura del diverso è una reazione umana comprensibile, ma non inevitabile. La psicologia ci insegna che attraverso il contatto, l’educazione, la consapevolezza e l’empatia possiamo trasformare questa paura in apertura, crescita e connessione. In un mondo sempre più interconnesso, imparare a convivere con la diversità non è solo un valore etico, ma una competenza psicologica fondamentale.